Pubblica o muori: le malattie della scienza moderna
Spesso si tende ad idealizzare la scienza considerandola un campo libero da pressioni economiche, ideologiche e sociali e in cui le truffe sono difficili da escogitare e hanno vita breve, in quanto l’approvazione di un’idea deriva da verifiche sperimentali che virtualmente chiunque può compiere e ripetere. Lo stesso meccanismo del peer review, in cui l’articolo di un ricercatore viene valutato da esperti del settore prima di un’eventuale pubblicazione su riviste prestigiose, sembra una garanzia contro i dilettanti allo sbaraglio e gli imbroglioni.
- TRUFFE D'AUTORE: GALILEO, NEWTON, DALTON, MENDEL, FREUD
- IL SISTEMA SCIENTIFICO AMERICANO
- IL SISTEMA DIFENDE I TRUFFATORI? IL CASO DI BALTIMORE
- LA SITUAZIONE EUROPEA E LA POPOLAZIONE DEGLI SCIENZIATI
- LA CONSAPEVOLEZZA DEL PROBLEMA
TRUFFE D'AUTORE: GALILEO, NEWTON, DALTON, MENDEL, FREUD
Abbiamo già visto, ad esempio, che Galileo
nascose disonestamente il risultato delle sue osservazioni del sistema doppio
di Mizar, ma in realtà per lui era ancora più consueto supportare le sue teorie con risultati di esperimenti che in realtà non
aveva mai compiuto veramente. Nelle
condizioni tecniche limitanti in cui Galileo era costretto ad operare,
l’esperimento dei gravi gettati da una certa altezza non avrebbe potuto dare i
risultati che la teoria prevedeva, dunque o Galileo non l’ha mai effettuato,
oppure sì, ma ha finto che i conti tornassero in misura soddisfacente quando
invece non era vero. E l’esperimento del piano inclinato? Galileo sostiene di
averlo compiuto “ben cento volte”, ma quando Marin Mersenne provò a replicarlo
nelle stesse identiche condizioni non riuscì a ritrovare i risultati ottenuti
da Galileo. Anche la legge dell’isocronismo del pendolo è una scoperta che
Galileo fonda su un esperimento che con tutta probabilità non ha mai davvero
fatto (altrimenti avrebbe trovato risultati ben diversi).
Newton invece ritoccava i dati numerici
con giustificazioni a posteriori un po’ arbitrarie, in modo da rendere i dati
sperimentali concordanti con i suoi modelli teorici, analogamente fece in chimica John Dalton.
Anche il padre della genetica, Gregor Mendel, ha barato un pochino per portare all’attenzione del pubblico le sue tre leggi, ricavate da esperimenti di incrocio tra piante di piselli. A distanza di anni ci si rese conto, riesaminando le procedure attuate dal monaco scienziato, che nei suoi esperimenti i conti tornavano fin troppo bene, in un modo difficilmente credibile per i limiti tecnici in cui si trovava ad operare. Si dice spesso che il motivo per cui la sua scoperta al tempo passò inosservata è che il mondo scientifico non era ancora pronto ad idee così innovative. Molto probabilmente invece la comunità scientifica rispose gelidamente ai lavori di Mendel perché le procedure sperimentali da lui descritte sembravano oscure o inverosimili. Lo stesso William Bateson anni dopo, pur essendo un mendeliano convinto, avanzò l’ipotesi che gli esperimenti raccontati dall’abate fossero in realtà solo un frutto della sua immaginazione. Oltretutto la sua terza legge, che apparentemente lui trovava verificata con una certa precisione, in realtà non è affatto universale, e se oggi sappiamo che nella pratica viene spesso violata a causa del fenomeno del linkage, già i suoi contemporanei avevano potuto osservare che incrociando piante certi caratteri fenotipici tendevano fortemente a presentarsi insieme nella prole, risultando dunque non indipendenti. Questo rendeva l’esperienza di Mendel, in cui i caratteri scelti dei piselli segregavano indipendentemente, molto sospetta.
Ma i caratteri scelti da Mendel segregavano davvero indipendentemente?
Teoricamente, da quello che abbiamo appreso in seguito, era possibile, perché
Mendel aveva selezionato sette caratteri e il pisello ha sette cromosomi,
tuttavia la probabilità di indovinare la scelta a priori e alla cieca (senza
sapere nulla dei cromosomi) come apparentemente aveva fatto lui è così bassa
che ancora oggi nelle aule di biologia si racconta di come Mendel sia stato
geniale ma anche molto fortunato. Sfacciatamente fortunato: in pratica la probabilità di azzeccare la scelta dei
caratteri era all’incirca dello 0,6% !
In effetti la fortuna non c’entra: quando sono state tracciate le mappe
cromosomiche di Pisum sativum si è scoperto che solo due dei geni coinvolti
negli esperimenti di Mendel sono realmente indipendenti, dunque lo scienziato
non ha scelto fortunosamente a priori sette caratteri indipendenti. Piuttosto,
molto probabilmente, avrà osservato diverse generazioni di piselli nati da vari
incroci e si sarà imbattuto come tutti nelle conseguenze del linkage, ma trascrivendo
comunque meticolosamente la frequenza di occorrenza delle forme alternative di
ogni carattere potè selezionare, da una lunghissima lista, solo i caratteri che
approssimativamente si presentavano nelle diverse varianti secondo rapporti a
lui congeniali. Insomma la scelta dei
caratteri è avvenuta a posteriori ed era semplicemente quella che faceva
tornare tutto.
Fin qui abbiamo visto tutti esempi di scienziati che avevano avuto intuizioni
preziose e che avevano ceduto alla tentazione di dire qualche piccola bugia per
scavalcare i limiti tecnici.
Comportamenti sorprendenti e discutibili anche da parte di Sigmund Freud: molti casi clinici da cui faceva discendere le sue
teorie in realtà sono stati osservati solo dopo la formulazione delle teorie o
non sono stati osservati affatto, almeno nelle modalità da lui descritte.
Nel suo caso però assistiamo, almeno una volta, ad un fenomeno prima non
riscontrato: la complicità di parte dei colleghi. Freud aveva infatti
dichiarato di aver guarito dall’infermità mentale il paziente S. P., “L’uomo
dei lupi”, anche se non era vero, e questa
bugia era nota nell’ambiente psicanalitico ma tenuta sotto segreto.
Il paziente S. P. , il cui vero nome era Sergej Pankejeff, fu rintracciato da
una giornalista, la quale scoprì che, per ammissione dello stesso interessato,
il malessere psichico trattato da Freud non era sparito. Pankejeff spiegò che i
suoi problemi non si risolsero né dopo i quattro anni in cui era stato in cura
da Freud, né i successivi anni di analisi presso altri psicanalisti. Eppure
Pankejeff nelle sue memorie aveva confermato la versione ufficiale, e cioè di
essere stato guarito, come mai? In sostanza l’uomo era stato indotto da Muriel
Gardiner a scrivere quel libro per dimostrare che le idee di Freud avevano
successo, inoltre quando si era ridotto sul lastrico gli psicanalisti avevano continuato ad incontrarlo gratuitamente e
addirittura avevano preso a mantenerlo economicamente con denaro proveniente
dai fondi della Fondazione Sigmund Freud, a patto ovviamente che non
rivelasse la verità sui risultati terapeutici realmente ottenuti. Venne fuori
anche che Freud aveva alterato a suo
capriccio diversi elementi della storia, cambiando dettagli di sogni
riferiti dal paziente o inventando ricordi infantili che l’uomo non aveva mai
avuto né tantomeno raccontato a Freud o a chiunque altro.
IL SISTEMA SCIENTIFICO AMERICANO
"Lupi seduti su un albero", dipinto in cui lo stesso Pankejeff, firmandosi con lo speudonimo "Wolfmann", ha riprodotto il celebre sogno analizzato da Freud |
IL SISTEMA SCIENTIFICO AMERICANO
Si potrebbe pensare che oggi le cose vadano meglio, in realtà la ricerca
rispetto a un tempo è semplicemente afflitta da problemi di natura diversa, ma
il risultato è comunque che la frode e
l’inganno sono sempre possibili. Anzi, sono più diffusi oggi che in passato, a causa di come è venuto a
strutturarsi il mondo della ricerca. Da una parte gli scienziati sono in forte competizione per accaparrarsi fondi,
e in paesi come gli Stati Uniti è anche fondamentale pubblicare il più
possibile per poter proseguire la propria carriera (“è il famoso “publish or perish” americano). Tutto
ciò porta facilmente a cedere alla tentazione di barare un po’, e spesso incredibilmente
c’è tutto un sistema attorno che tenta
di salvare le apparenze e difendere lo scienziato imbroglione, questo
perché il riconoscerlo come truffatore causerebbe problemi a tantissime altre
persone, ad esempio a quelle che avrebbero dovuto vigilare e che invece non si
sono rese conto di ciò che accadeva. È soprattutto il sistema americano che ha
grossi problemi, ma una parte rilevante della ricerca che conta al mondo, per
vari motivi, è fatta proprio negli Stati Uniti, e quindi, data anche l’influenza
che questo paese ha in tutti gli ambiti in buona parte dell’Occidente, è utile
approfondirne le peculiarità.
Gli Stati Uniti sono stati probabilmente il primo paese in cui lo scienziato ha
perso moltissima autonomia nella scelta
dei problemi da studiare e dei metodi da impiegare nello studio (tutti gli
altri paesi occidentali però successivamente si sono allineati, chi più chi
meno, a questo modello). Non sembra sia stato solo per l’ingerenza della
politica e dell’esercito (anche se è vero che i militari assunsero spesso il
comando di equipe di scienziati, come nel Progetto Manhattan), probabilmente
c’è qualcosa di così connaturato alla
società americana da essersi espresso anche nel mondo della scienza: il
pragmatismo e la gestione manageriale, per esempio, si trasferirono dal mondo
dell’industria a quello della ricerca scientifica. Già Edison del proprio
lavoro poteva dire: “Non studio la scienza come hanno fatto Newton, Keplero,
Faraday e Henry, solo allo scopo di conoscere la verità. Io sono un inventore
di professione. I miei studi ed i miei esperimenti sono stati condotti
esclusivamente allo scopo d’inventare ciò che ha qualche utilità commerciale”.
Ma l’intero mondo scientifico americano si uniforma a questo modus operandi
quando il consigliere scientifico del presidente Roosevelt, Vannevar Bush, crea
sostanzialmente il sistema ancora vigente, in cui le attività di ricerca delle
università sono finanziate dal governo. Naturalmente il governo, per
indirizzare adeguatamente i propri fondi, si affida ad organi intermedi
ritenuti competenti a valutare il valore e le prospettive delle proposte di
ricerca. Questi comitati sono composti da altri scienziati, quindi in sostanza
ci sono degli scienziati a decidere se altri scienziati meritano o no di essere
finanziati. Purtroppo in genere non basta aver avuto una buona idea per passare
il controllo, in quanto un parametro di cui questi revisori tengono molto conto
è la precedente carriera nel campo, ossia il numero di articoli pubblicati e il
numero di citazioni che questi si sono guadagnati. Ecco perché in America si
usa dire “Pubblica o muori”: le pubblicazioni
frequenti sono indispensabili per chi voglia fare il ricercatore di professione,
meglio ancora se poi vengono citate in altri lavori. Questo porta ad
escamotages che di per sé non diffondono informazioni false come nel caso delle
frodi scientifiche o degli errori, ma che contribuiscono al rumore che rende
difficile reperire informazioni. Ad esempio un lavoro lungo diverse pagine
viene spezzettato in articoli più piccoli per avere diverse pubblicazioni
invece di una sola, poi in ogni lavoro si cerca di citare i propri lavori del
passato per aumentarne l’impatto e spesso si consolidano addirittura degli
scambi di citazioni tra diversi scienziati.
Vannevar Bush, fondatore dell'attuale sistema di finanziamento alla ricerca americano |
Ad ogni modo, il comitato dei pari in alcuni casi può essere scavalcato dai funzionari e i burocrati che amministrano direttamente gli stanziamenti per la ricerca: in alcuni ambiti se questi decidono che un certo progetto merita di essere finanziato, nessuno può opporsi e non è necessario il parere degli esperti.
Per quanto possa sembrare ansiogeno, questo sistema per decenni ha funzionato
benissimo, regalando al paese numerosi avanzamenti tecnico-scientifici e
diversi primati (oltretutto dagli anni ’30 aumentò considerevolmente la
rappresentanza americana tra i premi Nobel scientifici, prima piuttosto
esigua).
Ma in epoche più recenti qualcosa ha iniziato a non funzionare più per il verso
giusto. Per capire cosa, consideriamo intanto i limiti congeniti di un sistema
di tal fatta, seguendo le indicazioni del fisico Charles W. McCutchen. Secondo
lui, quando i funzionari prevalgono sui comitati scientifici, il ricercatore che riesce ad
aggiudicarsi un finanziamento si ritrova però limitato nell’agire dai vincoli imposti dall’alto, ed è per questo
che si trova a volte a dover escogitare dei trucchetti per convincere i
funzionari che questi fondi si tradurranno in scoperte utili per il paese: a
volte i ricercatori, per vari motivi, hanno a disposizione dei lavori già fatti
ma mai pubblicati, e nella domanda di finanziamento propongono quelli perché
sanno già che risultati danno e dunque possono fare promesse più specifiche e
concrete, poi però i soldi vengono utilizzati per altre ricerche che non sono
state nemmeno menzionate nella domanda. Quando ciò non è possibile, lo
scienziato si butta allora su un campo di studi in cui qualsiasi risultato,
positivo o negativo, è considerato comunque un avanzamento importante ed
apprezzato. Dunque la dipendenza dalla burocrazia pone facilmente limiti alla
creatività degli scienziati.
Quando invece i finanziamenti dipendono dai comitati scientifici le cose vanno
meglio? Secondo McCutchen no, perché gli scienziati sono uomini, e dunque hanno
i loro pregiudizi, competono tra loro e difendono il loro campo. Questo
significa che possono avere la tendenza
ad emarginare gli outsiders, che pure possono avere idee di rilievo come
avvenne ai dilettanti Edison e Marconi, e a boicottare idee che sfidano
apertamente i vecchi paradigmi. In questo modo si rischia di mantenere
l’establishment invece di promuovere l’avanzamento scientifico.
IL SISTEMA DIFENDE I TRUFFATORI? IL CASO DI BALTIMORE
Ed ecco dunque che arriviamo al punto: fino a tutti gli anni Sessanta il
sistema ha funzionato egregiamente perché la possibilità di finanziamenti era
sovrabbondante rispetto al numero di ricercatori da finanziare, e questo faceva
sì che praticamente ogni progetto potesse accedere alle sovvenzioni, senza il
rischio di tagliare fuori dai giochi i talenti più estrosi. In seguito gli
scienziati sono aumentati e parallelamente sono diminuiti i fondi a
disposizione per le loro attività, e questo ha instaurato una feroce
competizione tra i ricercatori. Secondo McCutchen, a quel punto si è instaurata
una sorta di dittatura dei mediocri,
perché gli scienziati meno brillanti si sono inseriti nei luoghi-chiave della
distribuzione dei fondi per la ricerca e hanno gestito il denaro con la scarsa
lungimiranza che c’era da aspettarsi da gente di poco spessore. Oltretutto
queste persone, per difendere le corporazioni, sarebbero state eccessivamente
indulgenti nei confronti di giochi di potere e mafie accademiche.
Fin qui le opinioni di McCutchen, ma che i risultati della ricerca accademica
americana siano diminuiti proporzionalmente alla crescita della popolazione di
scienziati è un fatto negato da pochi e confermato da studi come quelli famosi
di Derek De Solla Price, fondatore della scientometria. Sostanzialmente l’aumento numerico di scienziati favorisce
l’emergere dei mediocri, questo perché i geni originali e talentuosi, così
come i dilettanti senza arte né parte, rappresentano gli estremi di una
distribuzione gaussiana, al centro dei quali c’è invece la vasta rappresentanza
dei mediocri. In un sistema altamente competitivo come quello che si è venuto a
realizzare ovviamente, per ragioni statistiche, la massima parte delle
posizioni di garanzia e controllo esistenti sono state occupate da persone
appartenenti alla sezione centrale della gaussiana, cioè i mediocri, ma questi
poi hanno avuto la tendenza a selezionare, e quindi favorire, solo i progetti
all’altezza delle loro capacità di comprensione, scartando i dilettanti ma
anche gli innovatori geniali. Un esempio di questo tipo di discriminazione ci
viene offerto dalla biografia di Rosalyn Yalow. La biofisica americana vinse il
Nobel per la medicina con un fondamentale articolo che precedentemente era
stato rifiutato da due autorevolissime riviste di settore. Curiosamente, una
delle due riviste si giustificò dicendo “Le persone veramente immaginative e
creative non possono essere giudicate dai loro pari, perché non ne hanno”.
Questo è il contesto che secondo alcuni caratterizza attualmente l’ambiente
della ricerca scientifica americana. Ed è
un contesto che stimola facilmente i ricercatori, non all’altezza di
rispondere alle richieste a cui sono legati i finanziamenti, ad utilizzare espedienti e inganni, più
o meno grandi. Ma la cosa più problematica è che gli organi che dovrebbero
vigilare tenderebbero a lasciar fare senza puntare i riflettori sui truffatori,
per il bene di tutto il sistema. Sembra che il sistema sia fortemente
autoconservativo e che lotti contro qualsiasi cosa possa metterlo in
discussione. Per capire meglio cosa si intende con queste affermazioni può
essere utile, ancora una volta, un esempio: a tale scopo ci viene in soccorso
il “caso “Baltimore”. Nell’ ’86 la rivista “Cell” pubblicò un articolo firmato
dal premio Nobel David Baltimore e da altri scienziati che riguardava il
cosiddetto “topo transgenico”, un topo al quale era stato sostituito un gene
con un omologo proveniente da un’altra razza di topi. Senza entrare nei
dettagli, l’articolo sosteneva che nel topo così trattato si erano verificate
determinate reazioni immunologiche dalle implicazioni molto importanti. Il
problema è che uno dei pilastri di questo studio era costituito dagli
esperimenti di una dei firmatari dell’articolo, Thereza Imanishi-Kari, e che i
risultati da questa ottenuti furono messi in discussione da una sua ex
collaboratrice, Margot O’Toole. Durante il periodo di collaborazione le due
ricercatrici produssero risultati in contrasto l’uno con l’altro, e ad un certo
punto la Imanishi-Kari accusò la O’Toole di essere semplicemente incompetente,
e questa abbandonò il progetto e finì altrove a dedicarsi a nuove ricerche.
Quando però uscì il famoso articolo tra i cui firmatari compariva anche la Imanishi-Kari, ritrovando descritti dei risultati che secondo la sua esperienza sul campo erano impossibili, si reinteressò alla vicenda e coinvolse vari organi che avevano la possibilità di effettuare un controllo, i quali però minimizzarono il tutto rifiutandosi di andare fino in fondo. Fortunatamente Ned Feder e Walter Stewart, due scienziati dipendenti dei National Institutes of Health (NIH) che parallelamente al loro lavoro coltivavano l’hobby di smascherare le frodi scientifiche, si interessarono alla faccenda: leggendo le note di laboratorio della O’Toole si convinsero che effettivamente l’articolo incriminato non poteva avere basi, ma quando tentarono di pubblicare un loro rapporto i supervisori che lo esaminarono dichiararono che non aveva i requisiti necessari alla pubblicazione perché basato su documentazione insufficiente. Decisero allora di contattare tutti i coautori dell’articolo per chiedere loro ulteriore materiale, ma a quel punto entrò in scena Baltimore in persona, infuriato per quella che considerava un’inaccettabile intromissione. Intanto i NIH avevano proibito ai due di esporre le loro perplessità anche come privati cittadini, dunque la mossa successiva di Feder e Stewart fu di inviare il loro rapporto a cento rinomati scienziati americani chiedendo loro di esporre il proprio parere. Nella lettera chiedevano poi anche sostegno in un’altra battaglia molto più personale: gli organi direttivi dei NIH avevano accusato i due scienziati di aver prodotto troppo poco negli ultimi anni e di non avere l’autorizzazione per improvvisarsi “cacciatori di frodi” e i loro finanziamenti vennero drasticamente ridotti. Queste cose, e il fatto che i due furono costretti ad abbandonare la loro vecchia stanza per trasferirsi in un seminterrato, avevano tutta l’aria di essere una misura punitiva.
Quando però uscì il famoso articolo tra i cui firmatari compariva anche la Imanishi-Kari, ritrovando descritti dei risultati che secondo la sua esperienza sul campo erano impossibili, si reinteressò alla vicenda e coinvolse vari organi che avevano la possibilità di effettuare un controllo, i quali però minimizzarono il tutto rifiutandosi di andare fino in fondo. Fortunatamente Ned Feder e Walter Stewart, due scienziati dipendenti dei National Institutes of Health (NIH) che parallelamente al loro lavoro coltivavano l’hobby di smascherare le frodi scientifiche, si interessarono alla faccenda: leggendo le note di laboratorio della O’Toole si convinsero che effettivamente l’articolo incriminato non poteva avere basi, ma quando tentarono di pubblicare un loro rapporto i supervisori che lo esaminarono dichiararono che non aveva i requisiti necessari alla pubblicazione perché basato su documentazione insufficiente. Decisero allora di contattare tutti i coautori dell’articolo per chiedere loro ulteriore materiale, ma a quel punto entrò in scena Baltimore in persona, infuriato per quella che considerava un’inaccettabile intromissione. Intanto i NIH avevano proibito ai due di esporre le loro perplessità anche come privati cittadini, dunque la mossa successiva di Feder e Stewart fu di inviare il loro rapporto a cento rinomati scienziati americani chiedendo loro di esporre il proprio parere. Nella lettera chiedevano poi anche sostegno in un’altra battaglia molto più personale: gli organi direttivi dei NIH avevano accusato i due scienziati di aver prodotto troppo poco negli ultimi anni e di non avere l’autorizzazione per improvvisarsi “cacciatori di frodi” e i loro finanziamenti vennero drasticamente ridotti. Queste cose, e il fatto che i due furono costretti ad abbandonare la loro vecchia stanza per trasferirsi in un seminterrato, avevano tutta l’aria di essere una misura punitiva.
Grazie al loro intervento comunque la questione fu portata fino al Congresso degli Stati Uniti e diede il via a due inchieste parlamentari. Nel frattempo però anche Baltimore aveva scritto la sua versione dei fatti a diversi nomi del mondo scientifico, presentando questo tentativo di creare uno scandalo come una minaccia per la stessa libertà di ricerca scientifica: “Credo che sia di grande importanza che io riferisca queste cose non solo per dimostrare che né io né nessuno degli altri coautori dell’articolo possiamo realmente essere compromessi per questo attacco ma per un’altra ben più importante ragione: un piccolo gruppo di outsiders, in nome di un supposto, immaginario, errore ha intenzione di utilizzare questa piccola e normale disputa scientifica per consentire l’introduzione di nuove leggi e regolamenti dell’attività scientifica, leggi e regolamenti che io considero pericolosi per la scienza americana”.
Quest’ultima cosa era l’esatto opposto di ciò che pensava invece John Dingell,
capo di una delle due inchieste parlamentari di cui sopra, convinto da tempo
che il mondo scientifico americano non avesse i meccanismi immunitari per
difendersi da questi malfunzionamenti. Di più, Dingell sosteneva che ogni anno
le frodi scientifiche causassero addirittura un danno economico al paese, anche
a causa di università e istituzioni che proteggevano i truffatori pur di non
far scoppiare scandali. Ecco perché, quando i NIH si espressero definitivamente
sulla questione sancendo l’innocenza di Baltimore, Imanishi-Kari e degli altri
autori dell’articolo, Dingell sfruttò la sua posizione per far intervenire i
servizi segreti: le loro indagini indicarono che Thereza
Imanishi-Kari aveva manipolato le note di laboratorio abbastanza da inficiare
l’intera ricerca. In effetti sembrò che alcuni degli esperimenti cruciali non fossero stati nemmeno effettuati!
A seguito di tutto questo trambusto, i
NIH pubblicarono finalmente un secondo rapporto in cui si riconoscevano le
responsabilità di Imanishi-Kari, accusata di truffa, e di Baltimore, accusato
di tentato insabbiamento. Quest’ultimo prese alla fine le
distanze dalla collega e ritrattò l’articolo, ma la sua reputazione
era ormai danneggiata.
Tra le riviste scientifiche che si erano schierate subito acriticamente con
Baltimore o contro Dingell: “Cell”, “Science”, “Journal of immunology” e
inizialmente anche “Nature”. Tra i giornali non scientifici il “New York
Times”, il “Washington Times”, il “Washington Post” e il “Wall street journal”.
Nel 1996 un riesame del caso si concluse con la riabilitazione della Imanishi-Kari, in quanto a detta di chi se ne occupò mancavano del tutto le evidenze di una deliberata manipolazione dei dati. Resta il fatto che questi presentavano davvero i problemi sollevati dalla O'Toole (del resto la Imanishi-Kari non li aveva negati, limitandosi semplicemente ad imputarli alla sua cattiva gestione dei registri), e che dunque, mala fede o imperizia della ricercatrice, l'articolo effettivamente risultava inconsistente.
Nel 1996 un riesame del caso si concluse con la riabilitazione della Imanishi-Kari, in quanto a detta di chi se ne occupò mancavano del tutto le evidenze di una deliberata manipolazione dei dati. Resta il fatto che questi presentavano davvero i problemi sollevati dalla O'Toole (del resto la Imanishi-Kari non li aveva negati, limitandosi semplicemente ad imputarli alla sua cattiva gestione dei registri), e che dunque, mala fede o imperizia della ricercatrice, l'articolo effettivamente risultava inconsistente.
In questo caso le indagini sono riuscite, a dispetto delle resistenze del sistema, a scoprire che un importante articolo era in realtà da ritirare, ma non è dato sapere in quanti altri casi le istituzioni e i grandi
nomi siano riusciti a nascondere simili criticità per salvare le apparenze.
LA SITUAZIONE EUROPEA E LA POPOLAZIONE DEGLI SCIENZIATI
D’accordo, ma le cose in Europa vanno diversamente? In realtà pare che anche
qui le truffe si verifichino, alcuni celebri casi scoperti sono quelli del
francese Jacques Benveniste, con la sua “memoria dell’acqua” (che tanto cara fu
ai cultori dell’omeopatia), dell’inglese M. J. Purves, con le sue affermazioni
sul consumo di zucchero da parte del cervello degli embrioni di pecora, o del
tedesco Robert Gullis, con la relazione tra alcuni messaggeri nervosi e il GMP
ciclico. Di quest’ultimo è di qualche interesse la lettera che inviò a Nature e
che ricorda le abiure degli eretici davanti all’Inquisizione:
“Desidero mettervi al corrente del fatto che alcuni articoli pubblicati in vari
giornali da me come autore principale non sono affidabili. Le curve e i valori
pubblicati sono pura invenzione della mia fantasia e, nel corso della mia breve
carriera di ricercatore scientifico, ho pubblicato più mie ipotesi che
risultati individuati per via sperimentale. Ero così convinto delle mie idee
che molto semplicemente le ho messe su carta… Assumo la piena e totale
responsabilità di tutti questi sfortunati incidenti e sono pronto a pagarne le
conseguenze. Spero anche che la mia esperienza serva da monito ad altri e
desidero anche chiedere scusa alla comunità scientifica e alle varie persone
implicate”.
Si direbbe comunque che in Europa avvengano meno imbrogli, ma questo pare non
dipenda da una libertà d’azione degli scienziati considerevolmente maggiore o
da un sistema di finanziamento esemplare.
In realtà il sistema in Europa è una sorta di ibrido tra i finanziamenti
indiscriminati e senza vistosi vincoli burocratici e il sistema americano, con
percentuali di preminenza di un fattore o dell’altro che variano da paese a
paese. In Italia i finanziamenti non passano attraverso peer review e bene o
male tutti i laboratori partecipano alla spartizione dei fondi pubblici, che
però sono pochissimi rispetto a quelli americani. Resta il fatto che, in
assenza di procedure e criteri sufficientemente rigorosi, può capitare che
laboratori meno seri e produttivi assorbano più denaro di altri più meritevoli,
ma se non altro di sicuro questo sistema non incentiva in alcun modo le frodi.
In generale questo vale un po’ per tutto il vecchio continente: dal momento che
non ha l’ansia per le pubblicazioni frequenti, che per l’Americano sono di
importanza vitale perché il sistema ne tiene conto per erogare i finanziamenti,
l’Europeo non è immerso in un contesto
altamente competitivo ed è quindi tendenzialmente meno portato a imbrogliare.
D’altro canto, il sistema americano è molto più trasparente, dunque è più
probabile che in America una truffa venga scoperta, mentre in Europa ci saranno anche meno imbrogli ma passano più facilmente
inosservati.
Sostanzialmente, i singoli sistemi hanno tutti le loro falle, tuttavia la
scienza moderna è in difficoltà ovunque, a prescindere dai singoli sistemi, a
causa di un problema che interessa tutti i paesi: l’enorme numero raggiunto
dagli scienziati.
Dagli studi di De Solla Price si evince che la popolazione scientifica si
raddoppia all’incirca ogni dodici anni e mezzo, un intervallo di tempo durante
il quale la popolazione nel complesso non varia sensibilmente. Questo fissa
ovviamente un limite massimo al numero di scienziati che possono esserci, ma il
dato più importante è che, mentre il numero degli scienziati globalmente
raddoppia ogni dodici anni e mezzo, quello degli scienziati geniali ci mette
circa vent’anni a raddoppiare. In pratica all’aumentare degli scienziati
diminuisce la rilevanza di quelli davvero capaci, a favore di quelli mediocri.
Più aumentano gli scienziati e più è difficile fare nuove
scoperte.
Più aumentano gli scienziati e più è difficile fare nuove
scoperte.
Derek De Solla Price accanto ad una riproduzione del meccanismo di Anticitera da lui studiato |
Lo scenario futuro quindi sembra essere caratterizzato da una scienza sempre più improduttiva e costosa.
La soluzione prospettata da De Solla Price è di quelle che fanno storcere molti
nasi: trasferire gradualmente le
attività di ricerca in paesi in via di sviluppo, lì la scienza costerebbe
di meno e quindi non si avrebbero
i problemi appena segnalati che segnano Europa e Stati Uniti, inoltre per questo stesso motivo non si creerebbe la mostruosa competizione che in America ha contribuito al proliferare di articoli fraudolenti, e non sarebbero nemmeno necessari in effetti quei meccanismi di controllo che hanno penalizzato gli scienziati più originali.
i problemi appena segnalati che segnano Europa e Stati Uniti, inoltre per questo stesso motivo non si creerebbe la mostruosa competizione che in America ha contribuito al proliferare di articoli fraudolenti, e non sarebbero nemmeno necessari in effetti quei meccanismi di controllo che hanno penalizzato gli scienziati più originali.
LA CONSAPEVOLEZZA DEL PROBLEMA
Comunque si è sempre più consapevoli dell’esistenza delle truffe scientifiche e
del loro impatto non sempre trascurabile.
In America negli anni ’80 Al Gore poteva ancora impunemente dichiarare che le
frodi scientifiche non rappresentavano un problema e che solo un pazzo poteva
pensare di falsificare dei dati scientifici, e la Società Americana di Fisica
poteva ancora vantarsi di non aver bisogno di dotarsi di un formale codice
etico, vista la lunga tradizione di rigore ed integrità morale che poteva
esibire. Tuttavia quest’ultima nel 2002 si sconfessa adottando delle linee
guida per una corretta condotta professionale. Proprio in quell’anno infatti un
articolo di fisica pubblicato su Physical Review Letters fu ritrattato dai suoi
autori dopo che si era scoperta la frode di uno di loro, e i laboratori di
Murray Hill, nel New Jersey, furono costretti invece ad allontanare un loro
ricercatore che, si era scoperto, aveva pubblicato per anni immagini e dati
manipolati.
E negli anni successivi non mancarono altri scandali: nel 2004 l’università di
Bonn ritira il titolo di dottore in chimica a Guido Zadel, reo di aver
falsificato dei dati, nel 2007 vengono ritirati diversi articoli di cosmologia
e fisica gravitazionale a causa di una massiccia opera di plagio operata da due
scienziati turchi, nel 2010 la PhD in chimica Bengu Sezen perde il dottorato
per aver falsificato misure di risonanza magnetica nucleare, ecc. Nel 2015
invece l’editore BioMed Central ha ritirato 43 articoli scientifici a causa di
irregolarità nel processo di revisione dei pari.
Un caso molto interessante, che mette in luce i limiti dei meccanismi di
selezione delle riviste, è quello verificatosi nel 2014: un esperto di
informatica dell’università di Grenoble, Cyril Labbé, ha dimostrato che oltre 120 articoli pubblicati
tra il 2008 e il 2013 non avevano il minimo senso perché erano stati in realtà
generati da SCIgen, un software realizzato nel 2005 da ricercatori del
Massachusetts Institute of Technology proprio per dimostrare che le riviste
accettavano spesso lavori di cui non comprendevano il senso. La conseguenza fu
il ritiro di questi articoli dagli
archivi elettronici della Springer e dell’Institute of Electrical and
Electronic Engineers.
Un celebre saggio di Sokal e Bricmont, all'interno anche materiale relativo alla beffa ai danni del giornale Social Text |
Per quanto riguarda le riviste Open Access, nel 2013 il biologo John Bohannon riuscì a far accettare un articolo scritto da lui ma volutamente improponibile, pieno di errori madornali, a 157 riviste, molte delle quali si vantavano di selezionare gli articoli col meccanismo della revisione paritaria. Va detto che però molte altre non caddero nel tranello e riuscirono a stabilire che l’articolo non era valido.
Per completezza va detto che scherzi simili
riescono anche al di fuori dell’ambiente scientifico: nel ’96 Alan Sokal
era riuscito a far accettare sul giornale di studi culturali Social Text un
articolo-truffa in cui si affermava che la gravità quantistica era un
costrutto sociale, nel 2017 James Lindsay e Peter Boghossian replicano il successo riuscendo a far pubblicare a riviste dello stesso settore un articolo in cui si affermava, secondo le stesse parole dei due autori, “che il cambiamento climatico è concettualmente causato dal pene”.
costrutto sociale, nel 2017 James Lindsay e Peter Boghossian replicano il successo riuscendo a far pubblicare a riviste dello stesso settore un articolo in cui si affermava, secondo le stesse parole dei due autori, “che il cambiamento climatico è concettualmente causato dal pene”.
Letharia vulpina. Nella finzione di un articolo-burla di John Bohannon questo lichene contiene una molecola dalle proprietà antitumorali |
A seguire qualche dato aggiornato sull’entità attuale delle truffe scientifiche.
Il 2% dei ricercatori ammette di aver commesso qualche scorrettezza nella
propria carriera
Il 4% di fisici e chimici e l’80% di biologi e medici dichiara di conoscere
personalmente casi in cui sono stati tenuti comportamenti poco corretti.
Nel decennio che va dal 2000 al 2010 le ritrattazioni sono aumentate oltre un fattore dieci, a fronte di una crescita delle
pubblicazioni che è solo del 44%. Diminuiscono poi sempre di più le
ritrattazioni per errori in buona fede mentre aumentano quelle dovute a
falsificazioni dei dati.
Dati riportati da Stefano Ossicini nell’articolo “I Pinocchi della scienza –
cattive condotte e la struttura della ricerca scientifica”, ospitato sulla
rivista “Il Nuovo Saggiatore- Bollettino della società italiana di fisica”,
precisamente nel Vol. 34, N. 1-2, anno 2018.
Per approfondire il tema generale si consiglia il volume “Le bugie della
scienza” di Federico Di Trocchio (Mondadori 1993), un po’ datato ma ancora
interessante.
L'immagine d'apertura è di Gideon Burton
Se l'articolo ti è piaciuto e vuoi sostenere il nostro progetto ecco come aiutarci
L'immagine d'apertura è di Gideon Burton
Se l'articolo ti è piaciuto e vuoi sostenere il nostro progetto ecco come aiutarci
Commenti
Posta un commento