I Fenici e i sacrifici umani: interpretazioni a confronto
Raffigurazione di Moloch in "Bible Pictures with brief descriptions" di Charles Foster, 1897 |
«I sacerdoti si protesero dall’alto della grande pietra circolare e un nuovo canto sorse a celebrare le gioie della morte e della rinascita nell’eternità. I fanciulli salivano lentamente e, poiché il fumo che s’innalzava dal rogo formava alti vortici … parevano svanire entro una nube … Nessuno di essi si muoveva, poiché erano legati ai polsi e alle caviglie, e il velo nero che li avvolgeva impediva loro di vedere e alla folla di riconoscerli. Amilcare, vestito d’un manto rosso come i sacerdoti di Moloch, se ne stava ritto accanto al Baal, presso l’alluce del suo piede destro…»
(Gustave Flaubert, Salammbô)
Il romanzo di Flaubert ambientato nella Cartagine del III secolo a.C. ripropone un'immagine familiare a molti di noi: l'idea che i popoli di stirpe fenicia officiassero sacrifici umani, per di più con vittime in tenera età, ha una lunga tradizione costituita da fonti bibliche, greche e romane.
Questa documentazione però, seppur cospicua, non è stata esente da critiche: si è fatto notare giustamente che Ebrei, Romani e Greci avevano ovvie ragioni per calunniare, rispettivamente, Cananei, Cartaginesi e Fenici in generale.
Inoltre è abbastanza evidente che la descrizione di certe pratiche contenga spesso, come minimo, delle esagerazioni.
Tali critiche negli anni Settanta sono state lette come una reazione contro quello che era percepito come un pregiudizio razzista. Parlando dei Cartaginesi poi, la versione tradizionale dei fatti sembrava elogiare indirettamente l'imperialismo romano, allora poco amato in certi ambienti.
Per quanto riguarda l'oggi, al di fuori del mondo accademico la rivalutazione dei Fenici sembra soprattutto espressione dei circoli neopagani o di chi simpatizza con certe ideologie in funzione anti-cristiana.
Nella Bibbia gli Ebrei vengono diffidati dall'adottare usi pagani, soprattutto il sacrificio di bambini, costume cananeo:
“Non lascerai passare alcuno dei tuoi figli a Moloch e non profanerai il nome del tuo Dio” (Levitico 18, 21)
“Chiunque tra gli israeliti o tra i forestieri che soggiornano in Israele darà qualcuno dei suoi figli a Moloch dovrà essere messo a morte"
(Levitico 20, 2-5)
“Giosia profanò il Tofet, che si trovava nella valle di Ben-Hinnon, perché nessuno vi facesse passare ancora il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco in onore di Moloch” (2 Re 23, 10)
“Hanno costruito l'altare di Tofet, nella valle di Ben-Hinnon, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie, cosa che io non ho mai comandato e che non mi è mai venuta in mente”
(Geremia 7, 3)
Il Tofet sarebbe il luogo di questi rituali, mentre Moloch, a quanto pare, in realtà non doveva essere una divinità, come sembrerebbe da questi passi, ma il nome con cui si designava il rituale.
È stato anche ipotizzato, per concludere, che il “passaggio nel fuoco” dei bambini potesse essere un incruento rito di passaggio anziché un sacrificio.
Secondo alcuni gli Ebrei originariamente appartenevano al popolo cananeo, anch'esso di ceppo semitico. Se anche ciò non fosse, è comunque verosimile che, data la prossimità, tra i due popoli ci siano stati scambi culturali, e del resto è quello che la Bibbia in parte attesta quando parla di Ebrei che cedono ai culti cananei.
Alla luce di questi fatti, c'è chi vede reminiscenze di tali pratiche anche in altri passi biblici, precisamente nella storia di Abramo che si accinge a sacrificare Isacco e in quella di Iefte che sacrifica la propria figlia.
Per quanto riguarda le fonti greco-romane, ecco le più significative:
Nel “Minosse” (IV sec. a.C.), un dialogo attribuito erroneamente a Platone, Socrate discute della natura delle leggi con un anonimo amico, e questi gli fa notare che le leggi dei diversi popoli sono tra loro contraddittorie, ad esempio, mentre i Greci hanno in abominio certe cose, i Cartaginesi “sacrificano a Crono addirittura i propri figli, come forse anche tu hai sentito dire” (questa chiosa sembra suggerire che il fatto fosse abbastanza noto all'epoca). Crono è il dio con cui venne identificato nel mondo greco Baal Hammon.
Secondo Clitarco (III sec. a.C.) i Cartaginesi offrono i loro figli in sacrificio a Crono nel caso in cui vengano esaudite le loro preghiere. Celebre la sua descrizione di questi sacrifici: “Vi è infatti presso di loro un Crono di bronzo posto in piedi, con le mani protese, le palme levate verso l'alto, sopra un braciere di bronzo, che arde il bambino”.
Anche Ennio (III-II sec. a.C.) riferisce di questa pratica, precisando che per i Cartaginesi era una consuetudine.
Diodoro Siculo (I sec. a.C.) ricorda invece come l'accampamento cartaginese, durante l'assedio di Agrigento, fosse stato colpito da un'epidemia, presto interpretata come una punizione divina per aver profanato alcune tombe.
Per placare gli dei si procedette con i sacrifici umani, un fanciullo per Crono e varie persone per un'altra divinità. Forse la pratica non sarà stata una consuetudine, ma sembra proprio che fosse in qualche modo codificata, visto che a Crono venivano riservati sempre bambini e giovinetti.
Fa pensare a pratiche codificate anche quest'altro passo di Diodoro Siculo, sempre riferito all'assedio di Agrigento: “Rimproverarono a se stessi d'essersi alienati il favore di Crono, dato che a lui avevano un tempo offerto i figli dei cittadini più autorevoli, ma in seguito avevano dismesso tali usanze acquistando in segreto dei bambini allevati per essere offerti in sacrificio”.
Per farsi perdonare, i Cartaginesi “effettuarono allora un pubblico sacrificio di duecento bambini”.
Notizie anche sulla Sardegna, terra lungamente abitata dai Fenici: secondo Filosseno (I sec. a.C.) l'isola ospitava una statua di Crono sulle cui braccia si facevano morire i lattanti.
Ma la fonte più famosa sull'argomento è probabilmente Plutarco (I-II sec. d.C.):
“Non sarebbe stato più utile ai Cartaginesi prendere sin dalle origini un Crizia o un Diagora in qualità di legislatore e non credere a nessun demone o dio, piuttosto che praticare i sacrifici che essi facevano a Crono?”
“Ma del tutto consapevoli e consci essi offrivano i loro figli e quelli che ne erano privi acquistavano i figli dei poveri come fossero agnelli o uccellini, mentre la madre senza piangere ed emettere un gemito era lì presente; se gemeva o piangeva perdeva il guadagno della vendita, mentre il bambino finiva ugualmente sacrificato; davanti alla statua poi tutto lo spazio era invaso dal suono dei flauti e dei tamburi perché le grida non si udissero”.
Plutarco ricorda anche di come Gelone di Siracusa, sconfitti i Cartaginesi a Imera nel 480 a.C., avrebbe imposto loro di cessare i sacrifici di bambini a Crono.
Infine, di qualche interesse anche la testimonianza di Curzio Rufo (I sec. d.C.): secondo lui gli abitanti di Tiro, all'epoca dell'assedio di Alessandro Magno, furono tentati di ripristinare i sacrifici umani, abbandonati in città ormai da tempo. Per fortuna dopo essersi consultati tra loro convennero di lasciar stare e non ci fu alcun sacrificio.
L'interesse di questa fonte sta nel fatto che è scevra dal sospetto di ostilità verso i fenici, visto che questi in realtà, rifiutando di cedere alla paura e tornare alle antiche usanze sanguinarie, ci fanno una volta tanto un'ottima figura.
Alla fine di questa disamina, che ha preso in considerazione solo le fonti più significative, bisogna ammettere che di testimonianze ce ne sono, sebbene inclini all'iperbole e in larghissima parte faziose. Ma com'è possibile che invece importanti storici come Erodoto, Tucidide, Polibio e Livio, che pure avevano trattato dei Fenici, non facciano menzione di una consuetudine così particolare?
Non si possono biasimare quegli storici che hanno iniziato a non prestar fede a certe testimonianze, liquidandole come inattendibili.
La situazione sembrò evolvere verso una conclusione con la scoperta archeologica dei primi Tofet (in Africa Settentrionale, Sicilia e Sardegna, mentre una possibile spiegazione per l'assenza di Tofet in Libano può essere fornita da Curzio Rufo che testimonia un precoce abbandono della pratica tra i Tirii): effettivamente gli archeologi avevano scoperto queste aree adibite alla conservazione di resti combusti di bambini, accompagnati da steli votive che manifestavano riconoscenza a Baal per delle grazie ricevute. Assieme ai resti di bambini giacevano anche resti animali, presumibilmente altre vittime sacrificali.
Questione chiusa dunque? Non proprio.
Secondo alcuni (su tutti Sabatino Moscati) l'analisi dei Tofet mostra un'elevata frequenza di deposizione di resti che poco verosimilmente può essere dovuta a sacrifici umani, data l'elevata mortalità infantile dell'epoca che avrebbe scoraggiato una pratica così deleteria per l'intera società. In più moltissimi dei resti ritrovati appartengono a feti, non a bambini nati vivi, e questo rende un po' più difficile considerarli vittime sacrificali.
Un altro fatto strano è che nelle necropoli i resti di bambini sono relativamente pochi, e questo secondo alcuni è un indizio del fatto che i Tofet non fossero luoghi ove si depositavano le offerte ma piccoli luoghi di sepoltura riservati esclusivamente ai bambini, per qualche ragione che non ci è dato sapere.
In effetti tutte queste osservazioni non smontano la tesi dei sacrifici, in quanto il Tofet, giusto per indicare una delle possibili spiegazioni, potrebbe aver accolto indistintamente bambini morti naturalmente e bambini sacrificati a Baal.
Resta, per chi vuole negare la pratica dei sacrifici di bambini, l'enigma dei resti animali depositati nel Tofet, ma anche questa cosa potrebbe essere spiegata in diversi modi.
Che dire però delle steli apparentemente votive ritrovate nei tofet?
Su di esse si trovano iscrizioni come “Al Signore Baal Hammon e alla Signora Tinnit faccia di Baal”, interpretabile facilmente come un'offerta fatta a Baal e alla sua paredra Tinnit.
Si è fatto notare tuttavia che Tinnit presiede alla fertilità e che quindi la stele potrebbe rappresentare in realtà la richiesta di nuovi figli per compensare quello morto.
Se ancora non c'è accordo su come interpretare il record archeologico, è pur vero che nulla ha ancora confutato definitivamente le sospette testimonianze degli antichi. Volendo ammettere in esse delle volute esagerazioni, l'immagine più probabile che ne risulta è comunque quella di un uso del sacrificio umano non proprio marginale e inconsueto.
Per approfondire: "Sacrifici di bambini nel mondo fenicio e punico nelle testimonianze in lingua greca e latina -I" di Paolo Xella
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