Ipazia, oltre il mito
Figura identificata da alcuni con Ipazia, dalla "Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio, 1509-1510 (Città del Vaticano, Stanza della Segnatura). Non ci sono prove a favore di questa interpretazione |
Ipazia, filosofa alessandrina del IV-V secolo, è tornata in auge negli ultimi anni grazie al film “Agorà” di Alejando Amenabar.
La sua figura è tornata ad incarnare, come in passato, ideali femministi e laicisti, e di volta in volta è stata rappresentata come vittima dell'oscurantismo religioso, martire del libero pensiero, nobile figura femminile violentata da una cultura patriarcale, simbolo della superiorità morale del paganesimo sul cristianesimo, ecc. eppure tali letture, ad un'attenta analisi delle fonti, si rivelano in gran parte delle strumentalizzazioni.
Già il film risulta essere una ricostruzione ideologica poco aderente ai fatti.
Tralasciando che vengono mostrati la distruzione del Serapeo (in realtà risalente agli editti di Teodosio, 391) e i cristiani che distruggono la biblioteca di Alessandria (in realtà non c'è documento che provi una cosa simile, mentre possediamo testi arabi che fanno risalire tale distruzione all'epoca della conquista musulmana), Ipazia viene fatta morire molto giovane, quando nella realtà doveva avere, al tempo (415), sulla sessantina d'anni, in più le vengono attribuite idee astronomiche assolutamente anacronistiche: l'eliocentrismo, in realtà abbandonato dai tempi di Aristarco e riproposto solo nel XV secolo da Copernico, e l'ellitticità delle orbite dei pianeti, scoperta da Keplero nel XVII secolo e difficilmente concepibile all'epoca di Ipazia (infatti era opinione diffusa che le orbite dei pianeti non potessero che essere circolari, poiché ad entità superiori quali gli astri doveva spettare il moto che veniva considerato dotato di maggior perfezione, e in circolazione non c'erano tavole astronomiche accurate come quelle che avrebbe stilato Tycho Brahe secoli dopo).
Essendo una filosofa neoplatonica, è possibile che, lungi dal precorrere così tanto i tempi, pensasse piuttosto che gli astri fossero divinità, e in questo ironicamente sarebbe stata superata dai cristiani che ovviamente non accettavano una simile idea (infatti Giovanni Filopono, primo direttore cristiano della scuola di Alessandria, sosteneva che corpi celesti e terrestri fossero di uguale sostanza e soggetti alle stesse leggi proprio per smontare le tesi pagane sulla divinità degli astri).
La sua figura è tornata ad incarnare, come in passato, ideali femministi e laicisti, e di volta in volta è stata rappresentata come vittima dell'oscurantismo religioso, martire del libero pensiero, nobile figura femminile violentata da una cultura patriarcale, simbolo della superiorità morale del paganesimo sul cristianesimo, ecc. eppure tali letture, ad un'attenta analisi delle fonti, si rivelano in gran parte delle strumentalizzazioni.
Già il film risulta essere una ricostruzione ideologica poco aderente ai fatti.
Tralasciando che vengono mostrati la distruzione del Serapeo (in realtà risalente agli editti di Teodosio, 391) e i cristiani che distruggono la biblioteca di Alessandria (in realtà non c'è documento che provi una cosa simile, mentre possediamo testi arabi che fanno risalire tale distruzione all'epoca della conquista musulmana), Ipazia viene fatta morire molto giovane, quando nella realtà doveva avere, al tempo (415), sulla sessantina d'anni, in più le vengono attribuite idee astronomiche assolutamente anacronistiche: l'eliocentrismo, in realtà abbandonato dai tempi di Aristarco e riproposto solo nel XV secolo da Copernico, e l'ellitticità delle orbite dei pianeti, scoperta da Keplero nel XVII secolo e difficilmente concepibile all'epoca di Ipazia (infatti era opinione diffusa che le orbite dei pianeti non potessero che essere circolari, poiché ad entità superiori quali gli astri doveva spettare il moto che veniva considerato dotato di maggior perfezione, e in circolazione non c'erano tavole astronomiche accurate come quelle che avrebbe stilato Tycho Brahe secoli dopo).
Essendo una filosofa neoplatonica, è possibile che, lungi dal precorrere così tanto i tempi, pensasse piuttosto che gli astri fossero divinità, e in questo ironicamente sarebbe stata superata dai cristiani che ovviamente non accettavano una simile idea (infatti Giovanni Filopono, primo direttore cristiano della scuola di Alessandria, sosteneva che corpi celesti e terrestri fossero di uguale sostanza e soggetti alle stesse leggi proprio per smontare le tesi pagane sulla divinità degli astri).
Fotogramma del film "Agorà" in cui Ipazia, secondo Amenabar, scopre le orbite ellittiche |
Non è mancato comunque chi, arditamente, ha proposto l'ipotesi di un'Ipazia neoplatonica e cristiana, visto che è esistito un neoplatonismo cristiano e che le fonti più antiche non si pronunciano sulla fede di Ipazia.
Di sicuro aveva moltissimi amici ed allievi di fede cristiana, tra cui Sinesio di Cirene, divenuto addirittura vescovo, e il prefetto imperiale Oreste.
Al di là del film, le vengono spesso tributati meriti scientifici in realtà tutti da provare.
Se è vero che godeva di grandissima stima presso i contemporanei, a noi non è giunto nulla della sua speculazione filosofica e scientifica. Le si attribuiscono spesso l'invenzione dell'idroscopio e dell'astrolabio, ma si tratta di fantasticherie basate su fonti che dicono tutt'altro: in una lettera Ipazia riceve da Sinesio di Cirene semplicemente la descrizione di un idroscopio, senza riferimenti alla paternità dell'invenzione, e per quanto riguarda l'astrolabio, Sinesio di Cirene afferma di averne costruito uno assieme alla sua amica e maestra Ipazia, ma precisa anche che l'invenzione è da attribuirsi ad Ipparco (II sec. a.C.). In effetti anche il matematico Teone, padre di Ipazia, aveva già scritto un trattato su questa invenzione.
Per quanto riguarda le sue opere letterarie, sappiamo di due commenti a precedenti testi matematici e di un'opera astronomica che probabilmente altro non era che una semplice revisione delle Tavole Facili di Tolomeo. Di tutto ciò comunque nulla ci è pervenuto.
Di sicuro e veritiero c'è soltanto il fatto che fu uccisa in modo truce da fanatici di religione cristiana, ma per comprendere meglio le radici di questo delitto, e tentare di stabilire le vere responsabilità del vescovo Cirillo, è bene abbandonare la sala cinematografica e rivolgersi direttamente alle fonti.
L'unico scrittore cronologicamente vicino ai fatti e che si è dilungato sulla vicenda è l'avvocato e storico Socrate Scolastico (380-440). Ecco cosa dice nella sua “Storia ecclesiastica”:
“C'era una donna in Alessandria di nome Ipazia. Era figlia del filosofo Teone. Ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni. Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non raramente apparve in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa nell'andare ad una riunione di maschi: tutti infatti, tenendo conto della sua dignità straordinaria e della sua virtù, l'ammiravano di più.”
Qui Socrate effettivamente dà conferma del fatto che Ipazia era immensamente stimata, ma lascia intendere anche che non fosse consueto che una donna apparisse di fronte ai magistrati e partecipasse a riunioni di maschi. In effetti Ipazia non è certo la prima donna filosofa della storia (già i pitagorici accoglievano donne nella propria cerchia), ma nell'antichità le donne usualmente potevano dedicarsi a tali attività solo su permesso del proprio tutore, e sovente le filosofe erano anche etère, come nel caso di Aspasia di Mileto, celebre amante di Pericle.
“Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo [Cirillo d'Alessandria]. “
Qui Socrate dice esplicitamente che l'ostilità verso Ipazia aveva radici politiche, ma prima di proseguire è bene fare un passo indietro seguendo sempre l'opera di Socrate.
Poco prima lo storico ci informa di un fatto documentato da molti altre fonti, e cioè che la città di Alessandria era molto turbolenta, e che al tempo era divisa tra due autorità, quella ufficiale rappresentata dal prefetto imperiale Oreste e quella ufficiosa del vescovo Cirillo.
Questa convivenza non era priva di attriti ovviamente, in particolare Oreste mal sopportava che un vescovo usurpasse il suo ruolo.
I tumulti ad Alessandria si verificavano anche per i motivi più futili, molti dei disordini erano scoppiati in occasione di spettacoli pubblici ed è così che un editto di Oreste volto a regolamentare questo tipo di eventi venne letto nei teatri. In occasione di una di queste letture, uno dei presenti, un insegnante di grammatica di nome Ierace, fervente ammiratore di Cirillo, fu segnalato dagli Ebrei come un sobillatore. Oreste lo fece catturare e torturare pubblicamente in teatro.
Cirillo, informato di questo fatto, intimò agli Ebrei di smetterla di molestare i cristiani.
Questi risposero mandando in giro una notte la falsa voce del rogo di una chiesa, accoltellando a tradimento i cristiani che accorrevano con i secchi a spegnere l'incendio.
Fu in seguito a questo accadimento che Cirillo raccolse i suoi e cacciò tutti gli Ebrei da Alessandria.
Oreste si rammaricò dell'improvviso spopolamento della città, e rivolse le sue lamentele all'imperatore. Cirillo dal canto suo tentò a più riprese una riconciliazione col prefetto, anche appellandosi ai valori della loro comune religione (Oreste, come già detto, era infatti anch'egli cristiano) ma questi respinse tutte le offerte ricevute dal vescovo.
Un giorno i monaci dei monti della Nitria decisero di scendere in città per contestare Cirillo. Importante evidenziare che nel racconto di Socrate questa iniziativa sembra spontanea, non è riportato in alcun passo un appello di Cirillo.
Oreste però, nell'incontrarli sulla propria strada e nel sentendosi apostrofato come idolatra pagano, sospettò ci fosse lo zampino di Cirillo. Ad ogni modo uno dei monaci più fomentati, tale Ammonio, non si contentò di ingiuriarlo e gli tirò un sasso, ferendolo. Ammonio fu catturato e torturato, ma sotto l'effetto delle dure sevizie spirò.
Cirillo nella cerimonia funebre, sull'onda emotiva del momento, si lasciò andare e lo presentò come martire, sebbene gran parte dei cristiani non fosse d'accordo e lui stesso lasciò col tempo cadere nel dimenticatoio la faccenda.
Questo è il contesto che preparò gli eventi che precipitarono nell'omicidio di Ipazia.
È evidente come la religione abbia giocato un ruolo molto marginale e superficiale. Tornando per l'appunto alla narrazione di quei fatti:
“Alcuni poi, spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un tal Pietro, lettore, le tesero un'imboscata mentre ritornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum, dove la spogliarono completamente e poi l'assassinarono con dei cocci. Dopo avere fatto il suo corpo a pezzi, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono.
Questo affare portò non poco sdegno contro Cirillo e contro alla chiesa di Alessandria: infatti nulla può essere più estraneo dai seguaci degli [insegnamenti] di Cristo che uccisioni, lotte e cose del genere. Questo accadde nel mese di marzo durante la quaresima, nel quarto anno dell'episcopato di Cirillo, sotto il decimo consolato di Onorio ed il sesto di Teodosio.”
Si vede bene come Socrate metta a capo dei fanatici un certo Pietro il lettore, e che in alcun modo accusi esplicitamente Cirillo di essere il mandante dell'omicidio, limitandosi a dire che questa vicenda gettò infamia e discredito contro l'intera comunità di Alessandria (che non poteva, tutta assieme, aver partecipato al delitto) e, ovviamente, contro il responsabile di quella comunità, il vescovo cittadino.
E dire che Socrate presumibilmente era molto ostile a Cirillo, visto che nella controversia tra questi e Nestorio, che portò quest'ultimo ad essere deposto dalla carica di vescovo di Costantinopoli per via delle sue idee giudicate eretiche, si schierò dalla parte del secondo, contestando le misure prese contro di esso.
Probabilmente se avesse avuto in mano qualche elemento per accusare Cirillo di omicidio non avrebbe esitato ad usarlo, senza contentarsi di attribuirgli una responsabilità morale molto indiretta e discutibile.
L'altra testimonianza dell'epoca proviene da Filostorgio, ma attraverso la mediazione di Fozio, che lo riassume a parole sue nel IX secolo:
“Filostorgio dice che Ipazia, figlia di Teone, fu così bene educata nelle matematiche dal padre da sorpassare il suo maestro, specialmente nell'astronomia, e introdusse molti alle [scienze] matematiche. L'empio scrittore dice che, durante il regno di Teodosio il Giovane, la donna fu fatta a pezzi dai veneranti l'omousia”
“Omousia” in greco significa “stessa sostanza” e fa riferimento alla dottrina secondo la quale Padre e Figlio, nella Santissima Trinità, hanno identica sostanza.
Dunque coloro che venerano l'Omousia sono quelli che professavano questa dottrina, ossia quelli che riconoscevano le decisioni del Concilio di Nicea. Filostorgio non era tra questi, essendo egli ariano, ed è per questo che Fozio lo chiama empio.
Ad ogni modo, per via del suo arianesimo, anche lui era teoricamente ostile a Cirillo, eppure nemmeno dall'epitome che ne fece Fozio risulta un'accusa esplicita al vescovo. La responsabilità ricade solo su generiche persone professanti il Credo niceno, avversato da Filostorgio.
Le fonti coeve ai fatti dunque non arrivano a presentare Cirillo come un omicida, e fanno pensare che l'omicidio sia stato probabilmente l'esito di grandi tensioni politiche, con scarso peso del fattore religioso. Le altre fonti che possediamo sono tutte molto posteriori, e quindi meno affidabili.
Le più vicine ai fatti, Giovanni Malalas e Damascio, sono comunque posteriori di circa un secolo.
Giovanni Malalas:
“circa questo periodo gli alessandrini, col permesso del vescovo [Cirillo] di fare da sé, bruciarono Ipazia, un'anziana donna, filosofa insigne, da tutti considerata grande”
Per la prima volta c'è un coinvolgimento effettivo di Cirillo, anche se non si capisce in che grado. Cirillo ha avallato esplicitamente anche misure così drastiche o si è limitato a dare carta bianca agli alessandrini, magari senza immaginare che le cose potessero prendere quella piega?
Non c'è modo di saperlo.
Quello che invece sappiamo è che l'opera storiografica di Malalas è comunemente considerata poco attendibile per via della sua tendenza a scadere nel fantastico e per i numerosi anacronismi ed errori presenti nei suoi resoconti. In più era un uomo fortemente legato ad Antiochia, la sua città natale, ed è ben nota la feroce rivalità tra le diocesi di Antiochia e Costantinopoli.
Forse l'accusa agli “alessandrini”, in generale e senza distinzioni, nasconde antipatie di questo tipo.
Per quanto riguarda Damascio, la sua narrazione è più lunga e dettagliata, ma nasconde vari problemi. Tanto per cominciare non ci giunge di prima mano ma è riportata dal lessico Suda (X secolo), per di più fusa disarmonicamente alla testimonianza del contemporaneo Esichio di Mileto, a cui appartengono le prime righe del resoconto.
L'introduzione di Esichio:
“La figlia di Teone il matematico, filosofo alessandrino, era lei stessa un filosofo ben noto a molti. Era la moglie di Isidoro il filosofo. Fiorì sotto il regno di Arcadio. Ha scritto un commentario a Diofanto, il Canone Astronomico, e un commentario alle Coniche di Apollonio. È stata fatta a pezzi dagli Alessandrini, e il suo corpo è stato profanato e disperso per tutta la città. Ha patito tutto ciò a causa dell'invidia per la sua eccezionale saggezza, soprattutto per quanto riguarda l'astronomia. Secondo alcuni, fu colpa di Cirillo, ma secondo gli altri derivò dall'inveterata insolenza e ribellione degli Alessandrini. Dal momento che hanno fatto ciò anche a molti dei loro vescovi: considerare Giorgio e Proterio.
Si vede bene come Socrate metta a capo dei fanatici un certo Pietro il lettore, e che in alcun modo accusi esplicitamente Cirillo di essere il mandante dell'omicidio, limitandosi a dire che questa vicenda gettò infamia e discredito contro l'intera comunità di Alessandria (che non poteva, tutta assieme, aver partecipato al delitto) e, ovviamente, contro il responsabile di quella comunità, il vescovo cittadino.
E dire che Socrate presumibilmente era molto ostile a Cirillo, visto che nella controversia tra questi e Nestorio, che portò quest'ultimo ad essere deposto dalla carica di vescovo di Costantinopoli per via delle sue idee giudicate eretiche, si schierò dalla parte del secondo, contestando le misure prese contro di esso.
Probabilmente se avesse avuto in mano qualche elemento per accusare Cirillo di omicidio non avrebbe esitato ad usarlo, senza contentarsi di attribuirgli una responsabilità morale molto indiretta e discutibile.
L'altra testimonianza dell'epoca proviene da Filostorgio, ma attraverso la mediazione di Fozio, che lo riassume a parole sue nel IX secolo:
“Filostorgio dice che Ipazia, figlia di Teone, fu così bene educata nelle matematiche dal padre da sorpassare il suo maestro, specialmente nell'astronomia, e introdusse molti alle [scienze] matematiche. L'empio scrittore dice che, durante il regno di Teodosio il Giovane, la donna fu fatta a pezzi dai veneranti l'omousia”
“Omousia” in greco significa “stessa sostanza” e fa riferimento alla dottrina secondo la quale Padre e Figlio, nella Santissima Trinità, hanno identica sostanza.
Dunque coloro che venerano l'Omousia sono quelli che professavano questa dottrina, ossia quelli che riconoscevano le decisioni del Concilio di Nicea. Filostorgio non era tra questi, essendo egli ariano, ed è per questo che Fozio lo chiama empio.
Ad ogni modo, per via del suo arianesimo, anche lui era teoricamente ostile a Cirillo, eppure nemmeno dall'epitome che ne fece Fozio risulta un'accusa esplicita al vescovo. La responsabilità ricade solo su generiche persone professanti il Credo niceno, avversato da Filostorgio.
Le fonti coeve ai fatti dunque non arrivano a presentare Cirillo come un omicida, e fanno pensare che l'omicidio sia stato probabilmente l'esito di grandi tensioni politiche, con scarso peso del fattore religioso. Le altre fonti che possediamo sono tutte molto posteriori, e quindi meno affidabili.
Le più vicine ai fatti, Giovanni Malalas e Damascio, sono comunque posteriori di circa un secolo.
Giovanni Malalas:
“circa questo periodo gli alessandrini, col permesso del vescovo [Cirillo] di fare da sé, bruciarono Ipazia, un'anziana donna, filosofa insigne, da tutti considerata grande”
Per la prima volta c'è un coinvolgimento effettivo di Cirillo, anche se non si capisce in che grado. Cirillo ha avallato esplicitamente anche misure così drastiche o si è limitato a dare carta bianca agli alessandrini, magari senza immaginare che le cose potessero prendere quella piega?
Non c'è modo di saperlo.
Quello che invece sappiamo è che l'opera storiografica di Malalas è comunemente considerata poco attendibile per via della sua tendenza a scadere nel fantastico e per i numerosi anacronismi ed errori presenti nei suoi resoconti. In più era un uomo fortemente legato ad Antiochia, la sua città natale, ed è ben nota la feroce rivalità tra le diocesi di Antiochia e Costantinopoli.
Forse l'accusa agli “alessandrini”, in generale e senza distinzioni, nasconde antipatie di questo tipo.
Per quanto riguarda Damascio, la sua narrazione è più lunga e dettagliata, ma nasconde vari problemi. Tanto per cominciare non ci giunge di prima mano ma è riportata dal lessico Suda (X secolo), per di più fusa disarmonicamente alla testimonianza del contemporaneo Esichio di Mileto, a cui appartengono le prime righe del resoconto.
L'introduzione di Esichio:
“La figlia di Teone il matematico, filosofo alessandrino, era lei stessa un filosofo ben noto a molti. Era la moglie di Isidoro il filosofo. Fiorì sotto il regno di Arcadio. Ha scritto un commentario a Diofanto, il Canone Astronomico, e un commentario alle Coniche di Apollonio. È stata fatta a pezzi dagli Alessandrini, e il suo corpo è stato profanato e disperso per tutta la città. Ha patito tutto ciò a causa dell'invidia per la sua eccezionale saggezza, soprattutto per quanto riguarda l'astronomia. Secondo alcuni, fu colpa di Cirillo, ma secondo gli altri derivò dall'inveterata insolenza e ribellione degli Alessandrini. Dal momento che hanno fatto ciò anche a molti dei loro vescovi: considerare Giorgio e Proterio.
Ciò che è successo ad Ipazia dimostra che gli alessandrini erano dei ribelli.”
Esichio conferma la grande fama di Ipazia e gli oltraggi al suo cadavere, ma il movente indicato per il delitto stavolta è l'invidia per il suo sapere (quindi in contrasto con Socrate Scolastico, ma in ogni caso senza che la religione giochi un ruolo evidente).
Nemmeno in questo caso Cirillo viene presentato come sicuramente coinvolto, ma si dice che secondo alcuni era in qualche modo responsabile. Come mandante diretto e consapevole o semplicemente in quanto pastore della comunità che aveva soffiato sul fuoco dell'odio senza necessariamente aspettarsi esiti così tragici, non si sa.
Comunque vengono citate altre persone che non addossavano la colpa a Cirillo e ritenevano invece l'omicidio figlio naturale di quei tempi tumultuosi, di cui fecero le spese anche alcuni vescovi come Giorgio e Proterio (effettivamente anch'essi uccisi da folle inferocite).
Si vede dunque come le opinioni sulle responsabilità di Cirillo fossero contrastanti e come in ogni caso il vescovo non sia indicato esplicitamente da nessuno come assassino o mandante.
Il movente dell'omicidio contraddice la più sicura testimonianza di Socrate ed è anche poco probabile se attribuito ad un vescovo che verosimilmente non mirava a vedersi riconosciute competenze scientifiche e che d'altro canto aveva già un enorme stuolo di devoti al suo seguito.
Questo è provato non solo da Socrate, che spiega come Cirillo sia riuscito, con la sua enorme influenza, ad inimicarsi Oreste e a raccogliere abbastanza persone da cacciare tutti gli Ebrei da Alessandria. Del resto è noto anche da altre fonti che all'epoca il vescovato di Alessandria fosse una posizione di grande autorità.
Per quanto riguarda le simpatie di Esichio, sappiamo che era pagano, quindi potenzialmente di parte avversa a Cirillo e ai cristiani di Alessandria.
La fonte è comunque dubbia a prescindere da ciò, infatti Esichio sostiene che Ipazia fosse sposata ad Isidoro il filosofo, ma questo si accorda male con altre fonti che la vogliono vergine fino alla fine dei suoi giorni, a partire da Damascio che segue Esichio nel lessico Suda, per non parlare di un presunto (perché l'attribuzione non è accettata da tutti gli studiosi) carme di Pallada in onore di Ipazia e che fa riferimento alla condizione di vergine:
“Quando ti vedo mi prostro, a te e alle tue parole, vedendo la casa della Vergine tra le stelle, infatti il cielo è rivolto ad ogni tua azione, Ipazia santa, bellezza di parola, pura stella della sapiente cultura”.
La datazione più comunemente accettata colloca poi la nascita di Isidoro (che altrove viene detto sposato ad una certa Domna) decenni dopo la morte di Ipazia.
Ad Esichio segue la testimonianza di Damascio:
“[Ipazia] nacque e fu allevata ed educata ad Alessandria. Avendo una natura più nobile di quella del padre, non fu soddisfatta della istruzione da lui impartita nelle matematiche, ma si dedicò al resto della filosofia. Portava le vesti da filosofo e, percorrendo la città, a chi la interrogava spiegava Platone, Aristotele o qualche altro filosofo. Oltre all'insegnamento e alla pratica elevata della virtù, essendo giusta e saggia, rimase vergine. Era assai bella e attraente, così che uno dei suoi studenti si innamorò di lei. Questi non era capace di contenere l'amore e le si dichiarò. Alcuni ignoranti dicono che Ipazia lo guarì dalla sua malattia con la musica. In verità la musica non era riuscita nell'intento. Lei gli gettò uno dei suoi panni mestruali e, avendo mostrato il segno della generazione impura, disse: "Giovane, tu ami questi, non c'è niente di bello". L'anima [del ragazzo] fu distolta per la vergogna e per la sorpresa di un tale gesto e fu disposto a una maggiore saggezza.
Esichio conferma la grande fama di Ipazia e gli oltraggi al suo cadavere, ma il movente indicato per il delitto stavolta è l'invidia per il suo sapere (quindi in contrasto con Socrate Scolastico, ma in ogni caso senza che la religione giochi un ruolo evidente).
Nemmeno in questo caso Cirillo viene presentato come sicuramente coinvolto, ma si dice che secondo alcuni era in qualche modo responsabile. Come mandante diretto e consapevole o semplicemente in quanto pastore della comunità che aveva soffiato sul fuoco dell'odio senza necessariamente aspettarsi esiti così tragici, non si sa.
Comunque vengono citate altre persone che non addossavano la colpa a Cirillo e ritenevano invece l'omicidio figlio naturale di quei tempi tumultuosi, di cui fecero le spese anche alcuni vescovi come Giorgio e Proterio (effettivamente anch'essi uccisi da folle inferocite).
Si vede dunque come le opinioni sulle responsabilità di Cirillo fossero contrastanti e come in ogni caso il vescovo non sia indicato esplicitamente da nessuno come assassino o mandante.
Il movente dell'omicidio contraddice la più sicura testimonianza di Socrate ed è anche poco probabile se attribuito ad un vescovo che verosimilmente non mirava a vedersi riconosciute competenze scientifiche e che d'altro canto aveva già un enorme stuolo di devoti al suo seguito.
Questo è provato non solo da Socrate, che spiega come Cirillo sia riuscito, con la sua enorme influenza, ad inimicarsi Oreste e a raccogliere abbastanza persone da cacciare tutti gli Ebrei da Alessandria. Del resto è noto anche da altre fonti che all'epoca il vescovato di Alessandria fosse una posizione di grande autorità.
Per quanto riguarda le simpatie di Esichio, sappiamo che era pagano, quindi potenzialmente di parte avversa a Cirillo e ai cristiani di Alessandria.
La fonte è comunque dubbia a prescindere da ciò, infatti Esichio sostiene che Ipazia fosse sposata ad Isidoro il filosofo, ma questo si accorda male con altre fonti che la vogliono vergine fino alla fine dei suoi giorni, a partire da Damascio che segue Esichio nel lessico Suda, per non parlare di un presunto (perché l'attribuzione non è accettata da tutti gli studiosi) carme di Pallada in onore di Ipazia e che fa riferimento alla condizione di vergine:
“Quando ti vedo mi prostro, a te e alle tue parole, vedendo la casa della Vergine tra le stelle, infatti il cielo è rivolto ad ogni tua azione, Ipazia santa, bellezza di parola, pura stella della sapiente cultura”.
La datazione più comunemente accettata colloca poi la nascita di Isidoro (che altrove viene detto sposato ad una certa Domna) decenni dopo la morte di Ipazia.
Ad Esichio segue la testimonianza di Damascio:
“[Ipazia] nacque e fu allevata ed educata ad Alessandria. Avendo una natura più nobile di quella del padre, non fu soddisfatta della istruzione da lui impartita nelle matematiche, ma si dedicò al resto della filosofia. Portava le vesti da filosofo e, percorrendo la città, a chi la interrogava spiegava Platone, Aristotele o qualche altro filosofo. Oltre all'insegnamento e alla pratica elevata della virtù, essendo giusta e saggia, rimase vergine. Era assai bella e attraente, così che uno dei suoi studenti si innamorò di lei. Questi non era capace di contenere l'amore e le si dichiarò. Alcuni ignoranti dicono che Ipazia lo guarì dalla sua malattia con la musica. In verità la musica non era riuscita nell'intento. Lei gli gettò uno dei suoi panni mestruali e, avendo mostrato il segno della generazione impura, disse: "Giovane, tu ami questi, non c'è niente di bello". L'anima [del ragazzo] fu distolta per la vergogna e per la sorpresa di un tale gesto e fu disposto a una maggiore saggezza.
Ipazia così essendo, abile e dialettica nei discorsi, assennata e civile nelle opere, era amata e rispettata dalla città, e i capi ricorrevano a lei quando c'era da discutere per la città, come accadeva ad Atene. Se infatti [ora] le cose sono cambiate, [allora] il nome della filosofia era magnificato e ammirato da coloro che amministravano i principali affari pubblici. Era poi accaduto che Cirillo, il vescovo della fazione [la Chiesa o i niceni?] opposta [ai pagani o agli ariani?], passando presso la casa di Ipazia, vide presso le porte molta confusione di uomini e cavalli, alcuni arrivavano, altri partivano, altri sostavano. Avendo chiesto poi cosa fosse quella folla e quella turba presso la casa, sentì [rispondere] dal seguito che Ipazia, la donna filosofo, stava spiegando e quella era la sua casa. Avendo appreso questo, fu amareggiata la sua anima così da predisporre il suo omicidio, il più efferato di tutti gli omicidi. Infatti, uscendo [Ipazia di casa] come di consueto, molti uomini bestiali, veramente spregevoli, non conoscenti gli déi né la vendetta degli uomini, uccisero la filosofa, portando grandissima empietà e vergogna sulla loro patria”
Come prima anticipato, Damascio, in contrasto con Esichio, afferma che Ipazia rimase vergine e riporta anche un aneddoto curioso al riguardo.
In più dà conferma della grande stima di cui godeva presso i contemporanei. Ma ciò che dice su Cirillo è strano. Intanto, in un tempo presumibilmente vicino all'omicidio, Cirillo, che in realtà era vescovo della città già da qualche anno e verosimilmente ben informato sui principali fatti cittadini, sembra non conoscere la dimora di Ipazia, uno dei personaggi più in vista della città, e di non sapere del suo grande seguito. A ciò va aggiunta l'improbabile motivazione data all'odio di Cirillo: come già detto, Cirillo era indubitabilmente una grossa autorità in città, e non si può negare che avesse un grosso seguito senza squalificare le fonti più attendibili, perciò è poco credibile che provasse invidia per Ipazia. Ad ogni modo non è la motivazione proposta da Socrate Scolastico.
Non va dimenticato, per finire, che Damascio è uno scrittore pagano e anti-cristiano.
Le altre fonti sono ancora più tarde e problematiche.
Giovanni di Nikiu scrive nel VII secolo, a quanto pare in greco e copto, ma ciò che possediamo è solo una traduzione in ge'ez fatta nel XVII secolo a partire da una traduzione in arabo, e, se è vero che tradurre è sempre un po' tradire, la situazione non è dunque rosea per chi volesse trarne informazioni dettagliate.
Sostanzialmente Giovanni ricalca il resoconto di Socrate Scolastico, ma si discosta da questo quando parla delle motivazioni dietro il delitto e del coinvolgimento di Cirillo:
“C'era in quei giorni in Alessandria una filosofa, una pagana chiamata Ipazia, costantemente dedita alla magia, all'astrologia e alla musica, e sedusse molti con stratagemmi satanici. Il prefetto della città [Oreste] l'onorava specialmente poiché lei l'aveva sedotto con le sue magie. Il prefetto cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume, a eccezione di una volta in circostanze pericolose. E costui non solo fece ciò, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua.
Come prima anticipato, Damascio, in contrasto con Esichio, afferma che Ipazia rimase vergine e riporta anche un aneddoto curioso al riguardo.
In più dà conferma della grande stima di cui godeva presso i contemporanei. Ma ciò che dice su Cirillo è strano. Intanto, in un tempo presumibilmente vicino all'omicidio, Cirillo, che in realtà era vescovo della città già da qualche anno e verosimilmente ben informato sui principali fatti cittadini, sembra non conoscere la dimora di Ipazia, uno dei personaggi più in vista della città, e di non sapere del suo grande seguito. A ciò va aggiunta l'improbabile motivazione data all'odio di Cirillo: come già detto, Cirillo era indubitabilmente una grossa autorità in città, e non si può negare che avesse un grosso seguito senza squalificare le fonti più attendibili, perciò è poco credibile che provasse invidia per Ipazia. Ad ogni modo non è la motivazione proposta da Socrate Scolastico.
Non va dimenticato, per finire, che Damascio è uno scrittore pagano e anti-cristiano.
Le altre fonti sono ancora più tarde e problematiche.
Giovanni di Nikiu scrive nel VII secolo, a quanto pare in greco e copto, ma ciò che possediamo è solo una traduzione in ge'ez fatta nel XVII secolo a partire da una traduzione in arabo, e, se è vero che tradurre è sempre un po' tradire, la situazione non è dunque rosea per chi volesse trarne informazioni dettagliate.
Sostanzialmente Giovanni ricalca il resoconto di Socrate Scolastico, ma si discosta da questo quando parla delle motivazioni dietro il delitto e del coinvolgimento di Cirillo:
“C'era in quei giorni in Alessandria una filosofa, una pagana chiamata Ipazia, costantemente dedita alla magia, all'astrologia e alla musica, e sedusse molti con stratagemmi satanici. Il prefetto della città [Oreste] l'onorava specialmente poiché lei l'aveva sedotto con le sue magie. Il prefetto cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume, a eccezione di una volta in circostanze pericolose. E costui non solo fece ciò, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua.
Un giorno, su ordine del prefetto Oreste, secondo l'abitudine degli Ebrei d'Alessandria, ci fu uno spettacolo, e tutti gli abitanti della città si trovavano nel teatro. Cirillo, che era stato nominato patriarca dopo Teofilo, cercava di informarsi su questo evento. C'era poi un cristiano di nome Ierace, che possedeva comprensione ed intelligenza e che era solito discutere coi pagani. Era un devoto del patriarca [Cirillo] e obbediva ai suoi consigli, era anche molto versato nella conoscenza della fede cristiana. Ora questo uomo si era recato al teatro. Quando gli Ebrei lo videro gridarono: 'Questo uomo non è venuto con buone intenzioni, ma solamente per provocare confusione'.
Il prefetto Oreste, che disprezzava i figli della santa chiesa, fece afferrare Ierace lo fece percuotere pubblicamente nel teatro, sebbene non avesse commesso crimine alcuno. Cirillo si adirò col governatore della città per questo fatto, ed anche perché aveva messo a morte Ammonio, un illustre monaco del convento di Pernodj, e anche altri monaci.
Quando il governatore militare della provincia [d'Egitto] venne informato, fece dire agli Ebrei: 'Cessate le ostilità contro la Chiesa'.
Ma gli Ebrei, che godevano dell'appoggio del prefetto che era dalla loro parte, si rifiutarono di obbedire a ciò che avevano sentito. Inoltre, aggiungendo oltraggio a oltraggio, progettarono un massacro in modo infido. Di notte posero in tutte le strade della città alcuni uomini, mentre altri gridavano e dicevano: 'La chiesa dell'apostolico Athanasius è in fiamme: corrano al soccorso tutti i cristiani'.
Al sentire queste grida i cristiani uscirono, ignari dell'agguato, e gli Ebrei piombarono su loro e li massacrarono e fecero un gran numero di vittime. Al mattino, quando i cristiani sopravvissuti sentirono del crimine compiuto dagli Ebrei contro di loro, si recarono dal patriarca, e tutti i fedeli riuniti si recarono pieni di collera verso le sinagoghe degli ebrei: se ne impossessarono, le purificarono e le convertirono in chiese. Una di esse venne dedicata a San Giorgio.
Espulsero gli Ebrei assassini dalla città, saccheggiarono tutte le loro proprietà e li derubarono completamente. Il prefetto Oreste non fu in grado di portare loro alcun aiuto.
Il prefetto Oreste, che disprezzava i figli della santa chiesa, fece afferrare Ierace lo fece percuotere pubblicamente nel teatro, sebbene non avesse commesso crimine alcuno. Cirillo si adirò col governatore della città per questo fatto, ed anche perché aveva messo a morte Ammonio, un illustre monaco del convento di Pernodj, e anche altri monaci.
Quando il governatore militare della provincia [d'Egitto] venne informato, fece dire agli Ebrei: 'Cessate le ostilità contro la Chiesa'.
Ma gli Ebrei, che godevano dell'appoggio del prefetto che era dalla loro parte, si rifiutarono di obbedire a ciò che avevano sentito. Inoltre, aggiungendo oltraggio a oltraggio, progettarono un massacro in modo infido. Di notte posero in tutte le strade della città alcuni uomini, mentre altri gridavano e dicevano: 'La chiesa dell'apostolico Athanasius è in fiamme: corrano al soccorso tutti i cristiani'.
Al sentire queste grida i cristiani uscirono, ignari dell'agguato, e gli Ebrei piombarono su loro e li massacrarono e fecero un gran numero di vittime. Al mattino, quando i cristiani sopravvissuti sentirono del crimine compiuto dagli Ebrei contro di loro, si recarono dal patriarca, e tutti i fedeli riuniti si recarono pieni di collera verso le sinagoghe degli ebrei: se ne impossessarono, le purificarono e le convertirono in chiese. Una di esse venne dedicata a San Giorgio.
Espulsero gli Ebrei assassini dalla città, saccheggiarono tutte le loro proprietà e li derubarono completamente. Il prefetto Oreste non fu in grado di portare loro alcun aiuto.
Poi una moltitudine di fedeli nel Signore sorse sotto la guida di Pietro il magistrato, un perfetto servitore di Gesù Cristo, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi.
Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un'alta sedia. La fecero scendere e la trascinarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno [la quaresima]. Le lacerarono i vestiti, la fecero uscire e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. La portarono in un luogo chiamato Cinaron, dove bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono 'il nuovo Teofilo' perché aveva distrutto gli ultimi resti dell'idolatria nella città.”
Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un'alta sedia. La fecero scendere e la trascinarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno [la quaresima]. Le lacerarono i vestiti, la fecero uscire e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. La portarono in un luogo chiamato Cinaron, dove bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono 'il nuovo Teofilo' perché aveva distrutto gli ultimi resti dell'idolatria nella città.”
Tecnicamente nemmeno qui Cirillo è esplicitamente accusato, ma il fatto che dopo l'omicidio le persone circondino il vescovo lodandolo per aver distrutti gli ultimi resti di idolatria nella città suggerisce che fosse l'organizzatore del delitto.
La motivazione, rispetto a quella riportata da Socrate, si estende non poco: Ipazia avrebbe sì ostacolato la riappacificazione tra Cirillo e Oreste, ma più in generale avrebbe sedotto il secondo, allontanandolo dalla Chiesa, con le sue arti magiche, e questi avrebbe attratto a lei, a sua volta, altri adepti.
La fonte mira evidentemente ad attribuire a Cirillo il merito di aver sconfitto quella che viene presentata come una pericolosa strega, ma il punto in cui Giovanni si discosta da Socrate, quello cruciale per chiarire le responsabilità di Cirillo, non trova conferme in nessun'altra fonte.
Niceforo Callisto (XIV secolo) è molto più fedele alla versione di Socrate:
“Circa la filosofa Ipazia, come fu uccisa dal clero di Cirillo, e circa la vendetta che i Giudei pagarono per aver irriso le cose sacre dei Cristiani.
In Alessandria c'era una donna, una certa Ipazia, avente come padre il filosofo Teone, rettamente istruita dal padre, tanto eccellente tra i discepoli della filosofia che superò quelli a lei contemporanei, ma anche quelli esistiti da molto tempo. Divenne così successore della [scuola neo] platonica derivata da Plotino. Era pronta a esporre la conoscenza dei discepoli a tutti coloro che lo volevano. Per questo venivano a lei coloro che avevano amore per il filosofare, non solo per la sua eccellente libertà nel parlare, ma anche poiché aiutava saggiamente i governanti. E non appariva indecoroso il fatto che fosse in mezzo a uomini: infatti era onorata da tutti per l'eccellenza della sua saggezza, ed era sulla bocca di tutti per la meraviglia [nei suoi confronti].
Allora l'invidia si armò contro di lei. Poiché infatti era spesso con Oreste, ci fu un'accusa dai chierici di Cirillo, secondo la quale fosse causa sua il non riconciliarsi di Cirillo col prefetto [Oreste].
E così alcuni di questi, nutrenti un forte amore per Cirillo, i quali erano guidati da un certo Pietro, lettore, spiandola una volta che tornava [a casa], avendola fatta scendere dal carro, la condussero in una chiesa che è chiamata Cesare. E là, avendola denudata delle vesti, l'uccisero con cocci. Quindi, avendola fatta a pezzi, la condussero nel luogo detto Canaron e la bruciarono.
E così alcuni di questi, nutrenti un forte amore per Cirillo, i quali erano guidati da un certo Pietro, lettore, spiandola una volta che tornava [a casa], avendola fatta scendere dal carro, la condussero in una chiesa che è chiamata Cesare. E là, avendola denudata delle vesti, l'uccisero con cocci. Quindi, avendola fatta a pezzi, la condussero nel luogo detto Canaron e la bruciarono.
Questo portò non poco biasimo verso Cirillo e verso la sua chiesa, infatti ai seguaci di Cristo sono estranei invidie, dissidi, contese, lotte, omicidi di qualunque tipo. Questi fatti accaddero nel quarto anno di Cirillo alessandrino, nel sesto anno del regno di Teodosio, nel mese di marzo, quando ci sono i digiuni”
Qui i colpevoli sono sostenitori di Cirillo che accusavano Ipazia di mettere zizzania tra Cirillo ed Oreste, ma, come nella versione di Socrate Scolastico, dalla quale ricalca anche la conclusione, il vescovo non è esplicitamente accusato di aver commissionato il delitto.
Nel IX secolo Teofane il confessore si limitava a dire:
“alcuni uccisero con morte violenta la filosofa Ipazia, figlia del filosofo Teone “
In conclusione di questo excursus, si può dire solo che:
Qui i colpevoli sono sostenitori di Cirillo che accusavano Ipazia di mettere zizzania tra Cirillo ed Oreste, ma, come nella versione di Socrate Scolastico, dalla quale ricalca anche la conclusione, il vescovo non è esplicitamente accusato di aver commissionato il delitto.
Nel IX secolo Teofane il confessore si limitava a dire:
“alcuni uccisero con morte violenta la filosofa Ipazia, figlia del filosofo Teone “
In conclusione di questo excursus, si può dire solo che:
- Ipazia fu realmente molto stimata all'epoca, ma questo non implica che avesse dato contributi originali e significativi in qualche campo di ricerca;
- Aveva amici cristiani;
- Fu uccisa da un gruppo di persone di religione cristiana ma per motivi che sembrano tutti politici;
- Il vescovo Cirillo teoricamente potrebbe aver avuto un ruolo attivo nel delitto, ma a conti fatti non c'è prova di una cosa simile.
Stando così le cose, contrapporre la sua figura alla religione, al cristianesimo o alla Chiesa è assurdo.
Riverirla come genio scientifico e filosofico è un'esagerazione senza fondamento.
Ricordarla come martire del libero pensiero non ha senso.
In particolare ne esce distrutta l'immagine che ne ha voluto dare Amenabar, che ha sfruttato il personaggio per mandare un messaggio politico che nulla ha a che vedere col probabile pensiero di Ipazia e con i tragici fatti che la videro sventurata protagonista.
Riepilogo delle fonti primarie già citate nell'articolo:
"Lettera 5" e "Sul dono dell'astrolabio a Peonio" di Sinesio di Cirene
"Storia ecclesiastica"di Socrate Scolastico
"Biblioteca" di Fozio I di Costantinopoli
"Cronografia" di Giovanni Malalas
"Suda" di autore ignoto
"Cronache" di Giovanni di Nikiu
"Storia eclesiastica" di Niceforo Callisto
"Cronografia" di Teofane il Confessore
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"Lettera 5" e "Sul dono dell'astrolabio a Peonio" di Sinesio di Cirene
"Storia ecclesiastica"di Socrate Scolastico
"Biblioteca" di Fozio I di Costantinopoli
"Cronografia" di Giovanni Malalas
"Suda" di autore ignoto
"Cronache" di Giovanni di Nikiu
"Storia eclesiastica" di Niceforo Callisto
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