Il Caso Galileo

Il grande scienziato Galileo Galilei è ricordato da molti per lo più come una vittima dell’oscurantismo della Chiesa, la quale non capiva e non poteva accettare quella nuova scienza che, a suon di prove incontrovertibili, confutava le sue verità di fede e destituiva d’autorità il filosofo-feticcio Aristotele di Stagira, dalle cui labbra tutto il clero colto pendeva acriticamente. In seguito al famoso processo che vide Galileo come imputato, prosegue la narrazione comune, la scienza subì una battuta d’arresto significativa sul territorio italiano.

Ma le cose sono andate veramente in questo modo? In realtà è possibile stabilire, appurata l’ingiustizia patita dallo scienziato pisano e le irregolarità di quello che è stato un clamoroso processo-farsa,  che la Chiesa non è mai stata veramente impensierita dalle teorie di Galileo, né irrimediabilmente ostaggio dell’autorità di Aristotele, e che le sue misure non ebbero l’effetto di ritardare lo sviluppo scientifico in Italia o altrove. Curiosamente emerge anche un ritratto del grande scienziato che si discosta un po’ dalla figura idealizzata maneggiata come arma dagli anticlericali: Galileo fu un grandissimo pensatore, una figura-chiave del suo tempo, ma anche un impulsivo che si metteva da solo nei guai, e un furbone facilmente incline a trucchi di vario tipo pur di imporre le proprie idee anche in mancanza di prove certe. Già, perché tra le varie cose si scopre anche che Galileo non riuscì mai a dimostrare il proprio modello cosmologico. In effetti a ben vedere furono gli uomini di Chiesa a ragionare in maniera più lucida e rigorosa riguardo i problemi scientifici dell’epoca, impartendo a Galileo esemplari lezioni di epistemologia. Il pisano, infine, fu un uomo del suo tempo, di grande ingegno ma meno moderno di quanto lo vorrebbero i suoi odierni estimatori. Per esempio, sorprenderà i meno informati, Galileo, come in molti ai suoi tempi, credeva all’astrologia e usava le sue conoscenze astronomiche per confezionare oroscopi. In effetti quasi tutti i grandi eroi della rivoluzione astronomica e scientifica del XVII secolo credevano nell’astrologia, nell’alchimia e nella magia, e le loro idee furono spesso suggerite, almeno in parte, da concezioni filosofiche e religiose permeate di ermetismo, neoplatonismo e dottrina cristiana.



Antiporta del "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" di Galileo Galilei (Firenze, 1632)





L’autorità di Aristotele
Indubbiamente Aristotele dominò le università medievali e della prima modernità, ma la sua accoglienza fu lenta e tribolata, e la sua assimilazione avvenne solo mediante innovative interpretazioni e declinazioni. Anche nel momento di massimo fulgore della sua filosofia non vennero mai meno voci critiche, ed è quindi ingeneroso ritenere i dotti europei in blocco completamente acritici ed ossequienti nella ricezione dello stagirita.
Nel 1210 il Sinodo di Parigi delibera l’inopportunità della lettura delle opere non logiche di Aristotele e dei loro commentari, e nel 1215 il legato pontificio Roberto di Cour
çon detta i primi statuti dell’università parigina e in questi precisa il divieto di far lezione su questi testi. Nel 1229, approfittando di uno sciopero all’università di Parigi, l’università di Tolosa tenta di sottrarre studenti alla rivale allettandoli con la possibilità di studiare Aristotele, lì ancora non vietato. Nel 1231 però papa Gregorio IX intima la fine dello sciopero e nel farlo conferma i vecchi divieti, almeno per il tempo necessario all’esame dei testi da parte di un’apposita commissione d’inchiesta. Allo stesso tempo precisa che la semplice conoscenza dei libri proscritti è tollerabile, perché non implica necessariamente la violazione dei decreti del 1210 e 1215. Del resto al pontefice non interessava affatto la querelle su Aristotele, quanto piuttosto riportare alla svelta ordine e pace nell’ateneo parigino. Intanto nel 1245 il divieto temporaneo viene esteso anche all’università di Tolosa, finché non avviene che la nazione inglese dell’università di Parigi, nel 1252, decide che per diventare baccellieri alle arti occorre obbligatoriamente seguire lezioni sul “De anima”. Nel 1255 uno statuto dell’intera facoltà delle arti impone l’insegnamento regolare di tutte le opere di Aristotele tradotte fino ad allora. Ma il travaglio non è finito: nel 1270 il vescovo di parigi Etienne Tempier censura tredici testi di matrice aristotelica in odore di eresia, e nel 1277 estende la sua lista nera arrivando a colpire ben 219 tesi riconducibili all’aristotelismo.
Anche quando Aristotele divenne centrale nelle università europee, armonizzato con la fede cristiana soprattutto da Tommaso d’Aquino nella veste di quello che fu poi nominato tomismo, non mancarono prese di posizioni avverse, soprattutto da ambienti francescani, e del resto sin da subito alcuni cultori di Aristotele erano stati accusati di avere un atteggiamento troppo acritico nei confronti del maestro (ad esempio si lagna di ciò Ruggero Bacone, in tre scritti inviati a papa Clemente IV tra il 1266 e il 1268). Questo da una parte conferma l’esistenza di atteggiamenti di eccessiva devozione nei confronti di Aristotele, ma anche la presenza di una critica interna alla Chiesa e al mondo intellettuale, il che basta a dimostrare che le grandi istituzioni culturali dell’epoca, comprese le università, non erano in blocco consegnate passivamente alla lettera morta degli scritti aristotelici.
In effetti Aristotele era dinamite per il mondo culturale cristiano, dal momento che apparentemente negava alcuni capisaldi della fede cristiana come l’immortalità dell’anima, la creazione del mondo, ecc. La nascita del tomismo mostra proprio la grande capacità di assimilazione e rielaborazione della cultura cristiana, un atteggiamento tutt’altro che rigido e deferente. E se si ritiene che questo spirito critico fosse riservato unicamente alle questioni strettamente religiose, si rilegga questo nostro vecchio articolo, in cui mostriamo che il clero colto dell’epoca era stato in grado di rimettere in discussione anche la fisica aristotelica, spesso sulla base di convinzioni teologiche, ma non solo. Ricordiamo qui soprattutto i molti teologi medievali che ritenevano possibile la pluralità dei mondi e il moto della Terra, e che avevano correttamente discusso la relatività dei moti.

L’eliocentrismo e il moto della Terra
L’eliocentrismo è la difesa di un modello cosmologico che pone il sole al centro, in un’ottica del genere il pianeta Terra non può essere considerato statico come nella tradizionale e dominante visione delle cose, perché per poter spiegare il moto apparente del Sole in cielo è necessario ammettere il movimento della Terra.
Moto della Terra ed eliocentrismo sono dunque interconnessi, ma il problema è più complesso di come potrebbe apparire in un primo momento: a rigore, restringendo la discussione a Terra e Sole, si potrebbe parimenti dire che è la Terra che ruota su se stessa o che è il Sole che ruota attorno alla Terra fissa, le due descrizioni sarebbero diverse ma coincidenti, non esistendo un sistema di riferimento privilegiato.
Porre la Terra al centro delle descrizioni del cosmo è probabilmente la scelta più naturale ed immediata, di sicuro la strada più seguita nel mondo antico e medievale, perché è quella suggerita dai sensi e che nell’immediato solleva meno questioni. Anche se già i pitagorici avevano messo al centro del proprio modello cosmologico un oggetto diverso dalla Terra, il fuoco centrale Hestia, il primo modello propriamente eliocentrico di cui serbiamo memoria si deve all’astronomo ellenistico Aristarco di Samo.
Questo modello può aver avuto un qualche successo all’epoca, ma, quale che sia il motivo, dopo pochi secoli scompare del tutto in favore di un geocentrismo declinato in varie maniere ma tendenzialmente basato soprattutto su Aristotele e Claudio Tolomeo. Per la riscoperta dell’eliocentrismo, e quindi del moto della Terra, bisognerà aspettare il polacco Niccolò Copernico, sacerdote cattolico ed astronomo della prima modernità, ma, come abbiamo visto, già prima il dibattito tra teologi aveva rimesso in discussione diversi pilastri della diffusa concezione del cosmo.
La possibilità teorica del moto della Terra era stata contemplata nel Medioevo da Giovanni Buridano e Nicola d’Oresme, ma entrambi affermarono correttamente, e assieme a Niccolò Cusano, che non si poteva stabilire che la Terra si muovesse semplicemente guardando il cielo, per via della relatività dei moti. Vero che il moto della Terra a molti sembrava in contrasto col fatto che, restando l’atmosfera ferma, la superficie terrestre dovesse essere continuamente spazzata da venti fortissimi unidirezionali, ma Oresme aveva già capito che in qualche modo la Terra avrebbe comunicato il suo moto all’atmosfera, che quindi si sarebbe mossa assieme al pianeta non rivelandone il movimento.
Oresme fu anche un acerrimo avversario di astrologia e magia, che considerava superstizioni, e un sostenitore dell’idea che la Bibbia non dovesse essere interpretata interamente alla lettera. Inoltre fu tra quelli che, mettendo in discussione Aristotele, considerò la possibilità che i corpi celesti fossero in realtà della stessa natura di quelli terrestri, e quindi soggetti alle stesse leggi fisiche.


Niccolò Copernico
Abbiamo già visto in altra sede che all’epoca di Copernico i modelli cosmologici dominanti erano basati su quello geocentrico di Tolomeo: la Terra era al centro e tutti gli altri corpi celesti le ruotavano attorno, ma per tener conto del fenomeno del moto retrogrado (quando un pianeta sembra invertire la propria rotta tornando temporaneamente indietro) i pianeti erano stati collocati su orbite secondarie, gli epicicli, i cui centri orbitavano attorno alla Terra su orbite più grandi, i deferenti, centrate queste non sulla Terra ma su altri punti (quindi, a voler essere molto precisi, il modello di Tolomeo non è rigorosamente e propriamente geocentrico). In aggiunta a ciò, su influenza greca e soprattutto aristotelica, si riteneva generalmente che i corpi celesti ruotassero perché in movimento solidale con sfere celesti in cui erano incastonati.
Nonostante la sua elevata complessità, il modello di Tolomeo riscosse nei secoli un grande successo, perché rispondeva con efficacia agli scopi prefissati per esso (redazione di calendari, compilazione di oroscopi, ecc). Tuttavia nel corso del tempo le sue tavole astronomiche, copiatura dopo copiatura, avevano accumulato una serie di errori abbastanza grande da ridurne sensibilmente le capacità predittive. Questo è uno dei motivi che mosse Copernico nella direzione dell’elaborazione di un’alternativa, assieme al rifiuto della complessità del modello tolemaico e della sua mancanza di giustificazione fisica. Sembra che Copernico sia stato incoraggiato a porre il Sole al centro del suo sistema dalla lettura del Corpus Hermeticum, da poco riscoperto. Il Corpus Hermeticum è un insieme di testi di età ellenistica che la tradizione attribuiva alla mitica figura di Ermete Trismegisto: si tratta di opere di teurgia, magia, alchimia e filosofia, e in alcune di esse il Sole compare spesso in una posizione di centralità assoluta. Curiosamente, nonostante il suo anelito verso una maggior semplicità, il modello che Copernico andò elaborando, oltre a non presentare una maggior capacità predittiva, utilizzava un numero di epicicli doppio rispetto alla variante del sistema tolemaico allora corrente, quella elaborata da Georg von Peuerbach, e le bizzarrie del suo sistema non finiscono qui: la Luna corre lungo un doppio epiciclo, ogni orbita ha un centro diverso, mai corrispondente col Sole (quindi il sistema non è eliocentrico strictu sensu) e almeno per tre pianeti (Mercurio, Venere e Terra) i centri dei deferenti corrono a loro volta su degli epicicli!
Copernico si rendeva conto di questi problemi, come del fatto che il suo sistema non era più fisicamente fondato di quello tolemaico, e probabilmente è proprio per la sua insoddisfazione che non si convinceva a pubblicare il suo lavoro, che pure era piaciuto al papa che l’aveva letto in anteprima. Ad esortarlo a pubblicare c’erano soprattutto un cardinale ed un vescovo, ma Copernico temeva di essere dileggiato visto che era già stato oggetto di satira in teatro per opera di un autore protestante. Il mondo cattolico e il mondo protestante sostanzialmente conservarono il loro atteggiamento verso la teoria anche dopo la pubblicazione dell’opera di Copernico, il “De revolutionibus orbium coelestium”: mentre Lutero apostrofa lo scienziato come “questo imbecille”, Melantone ne condanna l’opera e Calvino lo ignora, la Chiesa Cattolica invece sembra abbia utilizzato il modello di Copernico per redigere il calendario gregoriano. Del resto l’opera recava una dedica a papa Paolo III. Oltre all'epistola dedicatoria indirizzata al pontefice, allegata all'opera nella sua prima edizione comparve anche una strana prefazione in cui si precisava al lettore che il modello di Copernico era solamente matematico, finalizzato ad effettuare i calcoli, e che in alcun modo aveva pretesa di essere reale. Questa prefazione in realtà tradisce completamente le vere intenzioni di Copernico, per il quale il modello doveva essere non solo matematico ma decisamente fisico, e difatti non fu lui a scrivere quelle enigmatiche righe. Il curatore di bozze dell’opera, il teologo e scienziato protestante Andrea Osiander, si era preso la libertà di apportare questa aggiunta al libro, per facilitarne la diffusione anche nelle aree interessate dalla Riforma Protestante, dove tali idee potevano esser viste non troppo bene. Questo equivoco sarà duro a morire e non sarà privo di conseguenze. Sia come sia, l’entusiasmo che accolse in area cattolica il lavoro di Copernico si raffreddò presto non appena gli studiosi si resero conto delle sue limitazioni.

Della vicenda umana di Copernico dobbiamo tenere a mente le seguenti considerazioni: Copernico era un prete, fu incoraggiato nell’elaborazione del suo sistema eliocentrico da alte gerarchie ecclesiastiche, tra le quali il papa in persona, e il suo sistema ebbe successo nel mondo cattolico, fungendo probabilmente anche da base alla riforma del calendario. È evidente che al tempo di Copernico la Chiesa non aveva alcun problema con l’eliocentrismo.

Basta un rapido confronto per verificare che il sistema tolemaico non è più complicato  di quello copernicano. Notare che nel secondo i centri dei deferenti di alcuni pianeti si muovono,  anch'essi, lungo epicicli

Giordano Bruno
Il 17 febbraio 1600 viene arso a Campo de’ fiori, Roma, il filosofo Giordano Bruno, un domenicano condannato per eresia dalla Chiesa. Non di rado si sente dire che tra i motivi della condanna ci fosse il sostegno all’eliocentrismo, ma è un’ipotesi inverosimile.
Giordano Bruno è spesso ricordato dagli anticlericali come un martire della ragione contro l’oppressione oscurantista del potere religioso, il quale trovava pericolose per la fede le dottrine bruniane della molteplicità dei mondi, dell’infinità dell’universo e dell’eliocentrismo.
In realtà Bruno è molto lontano dal somigliare all’ideal-tipo dei razionalisti moderni, essendo il classico filosofo-mago rinascimentale, che oltretutto si era fatto profeta del ritorno di un antico culto solare di origine egizia che avrebbe distrutto il cristianesimo. Le ipotesi scientifiche del momento le aveva fatte proprie in maniera superficiale e solamente in quanto utili alle sue concezioni misticheggianti. In particolare rifiutava con disprezzo l’uso della matematica per comprendere il mondo, preferendole i simboli e le geometrie sacre. Quando una tesi scientifica ben si sposava col suo sistema, la adottava con entusiasmo, quando invece lo contraddiceva, fingeva che non esistesse. Accadde così per esempio con alcuni dettagli del moto dei pianeti, che mal si accordavano con le sue idee.
L’originalità che molti attribuiscono a Bruno deve essere necessariamente ridimensionata, infatti come abbiamo già visto le sue idee più celebrate erano state in realtà già oggetto di discussione tra i teologi medievali. Del resto Bruno le idee di cosmo infinito e di molti mondi abitati le aveva prese da Niccolò Cusano, cardinale e legato pontificio, mentre l’eliocentrismo l’aveva preso da Copernico.
Il fatto che Copernico non abbia incontrato problemi, e nemmeno Galileo all’inizio della sua carriera, lascia pensare che all’epoca di Bruno, che si situa tra i due, l’eliocentrismo non fosse un problema per la Chiesa (si tenga presente che le condanne facevano giurisprudenza per i casi successivi, e il cardinale Roberto Bellarmino, che non aveva proceduto contro Galileo, era stato proprio quello che aveva seguito il processo a Giordano Bruno). Coloro che sostengono che Bruno sia stato condannato per le sue idee “scientifiche”, e in particolare per l’eliocentrismo, si basano sul fatto, noto, che negli anni del processo Bruno fu interrogato, tra le varie cose, anche su queste questioni. Tuttavia era perfettamente normale che il colloquio con gli inquisitori si estendesse oltre i campi di primario interesse, dal momento che lo scopo era proprio quello di scovare eventuali punti critici, oltre a quello di conoscere meglio l’imputato (tra le varie cose, a Bruno furono chiesti anche lumi sul suo abbigliamento, tanto per avere un’idea di come funzionavano le cose). Di fatto non c’è alcuna prova che eliocentrismo o altre teorie sul cosmo siano state infine giudicate eretiche o sospette, e che abbiano avuto un peso nel decidere la condanna di Bruno. Sarebbe bello poter esaminare le carte del processo, ma vennero smarrite durante il trasferimento degli archivi papali a Parigi da parte di Napoleone. Verosimilmente comunque la condanna venne per le sue affermazioni teologiche, del resto non era stato parco di affermazioni che, rispetto alla dottrina cattolica ortodossa, si ponevano come violentemente e chiaramente eretiche. Comunque in assenza delle carte, anche volendo ammettere la possibilità che alcune teorie “scientifiche” di Bruno possano averlo condotto al patibolo, non è possibile escludere che l’aspetto delle sue idee ritenuto inaccettabile fosse comunque tutto teologico. Esempio: se anche scoprissimo che in qualche modo è stata la teoria dei molti mondi abitati, che spesso non ha goduto di grandi simpatie nella storia della Chiesa, ad aver causato problemi a Bruno, il motivo potrebbe stare non nell’ipotesi scientifica in sé, ma in conclusioni teologiche che Bruno potrebbe averne tratto, e quindi in questioni ancora una volta di mera fede. In fondo i molti mondi di Bruno erano, secondo il filosofo, dei veri e propri esseri viventi e divini, dottrina contemporaneamente poco scientifica e poco cristiana. Forse le ripetute domande poste a Bruno su certe questioni non erano motivate dal sospetto che aleggiava attorno a certe ipotesi scientifiche, bensì dal tentativo di estorcere indirettamente all’indagato quelle affermazioni, completamente teologiche e metafisiche, che un eretico avrebbe potuto accompagnare alla professione di eliocentrismo, fede nei molti mondi, ecc. La condanna dei molti mondi viene spesso presentata in un elenco di otto proposizioni che sarebbero state contestate a Bruno, ma questa lista è in realtà solo una ricostruzione ipotetica dello storico Luigi Firpo. Qualcuno ha voluto vedere in una lettera di Caspar Schoppe la prova che la teoria dei molti mondi sia stata una delle cause della condanna di Bruno. In realtà in quella lettera l’autore sta cercando di rassicurare il destinatario della missiva del fatto che a Roma non si era troppo severi coi protestanti, e dal momento che si diceva che Bruno fosse un luterano fa seguire la serie di idee professate dal domenicano per mostrarne l’immensa distanza da un vero luterano. La lettera mostra più che altro che effettivamente potesse esserci del pregiudizio nei confronti di simili idee, non che poi le stesse fossero perseguite ufficialmente e sistematicamente, men che meno che questo sia avvenuto proprio a danno di Giordano Bruno.
Comunque, per quanto riguarda ciò che ci interessa in questa sede, una cosa è certa: possiamo escludere tranquillamente che Giordano Bruno sia stato condannato per aver difeso il modello cosmologico copernicano.

Il cannocchiale
In passato abbiamo già visto il ruolo centrale del cannocchiale nell’avanzamento dell’astronomia dell’epoca, e abbiamo anche evidenziato i limiti dello strumento calandolo nel suo contesto.
Qui vale la pena ricordare che Galileo realizzò alcuni dei migliori cannocchiali della sua epoca, richiesti da molte personalità in tutta Europa, ma in maniera del tutto empirica, essendo lui ignaro delle nozioni di ottica alla base del funzionamento di questo tipo di strumento ottico. Una delle conseguenze di questo approccio è che, ad esempio, le specifiche impostazioni che Galileo dava al suo strumento potevano essere ottimali per compensare un suo difetto della vista che si portava dietro da bambino ma peggiorative dell’esperienza di osservazione di chiunque altro avesse avuto occhi perfettamente sani. Ad ogni modo già all’epoca erano noti alcuni limiti dei cannocchiali, ad esempio ci si era resi conto del fatto che a volte sdoppiavano le stelle inquadrate, e che mostravano la scabrosità della Luna ovunque tranne che alle periferie. Del resto gli stessi pianeti medicei non venivano visti da molti osservatori, nonostante l’utilizzo degli stessi strumenti adoperati da Galileo.
A noi non resta che esaminare i disegni che lo scienziato, versato anche in questa arte, aveva fatto della superficie lunare: differenze tra i suoi schizzi e l’autentica superficie del nostro satellite suggeriscono che evidentemente con il suo cannocchiale non vedeva proprio tutto perfettamente. Per imparare a conoscere lo strumento e per testarne validità e limiti, all’epoca si pensò giustamente di testarlo anche puntandolo verso obiettivi terrestri. I risultati erano incoraggianti, gli oggetti sulla terra venivano restituiti abbastanza fedelmente dal cannocchiale, e tuttavia oggi sappiamo che nel fenomeno percettivo una parte non trascurabile la giocano i ricordi e le aspettative, e dunque eventuali carenze nell'immagine percepita possono essere compensate da un istantaneo ed inconscio lavorio del cervello. Stando così le cose, non è assolutamente detto che la percezione che il cannocchiale dona degli astri venga elaborata dall’osservatore in maniera soddisfacente.

La Luna disegnata da Galileo

Al di là di tutto ciò, Galileo grazie al suo cannocchiale fece alcune delle più grandi scoperte del periodo: le macchie solari, le fasi di Venere, i pianeti medicei e la scabrosità della Luna.
La scabrosità della Luna confutava l’idea della perfetta sfericità dei corpi celesti propugnata da Aristotele e suggeriva che gli astri fossero corpi della stessa natura di quelli terrestri. Le macchie solari mettevano invece in crisi la dottrina aristotelica dell’invariabilità dei cieli: evidentemente lassù in alto non c’erano solo moti periodici, eterni e sempre uguali a se stessi, e gli astri non avevano una struttura omogenea e costante. Tuttavia queste tesi non erano così innovative come si potrebbe pensare, ad esempio già Scoto Eriugena nel IX secolo negava l’incorruttibilità dei cieli. Per quanto riguarda la teologia dell’epoca, non sembra ci fossero particolari problemi ad ammettere questa  idea, anzi. Quando  Galileo ne parla col cardinale Carlo Conti riceve questa risposta: “la Scrittura non favorisce ad Aristotele, anzi più tosto alla sentenza contraria, sì che fu comune opinione de' Padri [della Chiesa] che il cielo fosse corruttibile”.
In effetti alla scoperta delle macchie solari è legata soprattutto una controversia sulla paternità sorta tra Galileo e il gesuita Christoph Scheiner. In realtà entrambi erano stati battuti sul tempo da Thomas Harriot, che però, come in occasione di altre sue scoperte, non rivelò la cosa a nessuno, e pare che anche Keplero avesse già avvistato una macchia solare, confondendola però con un transito di Mercurio. La disputa tra Galileo e Scheiner assunse da subito un tono molto caustico per colpa di un malinteso iniziale: Galileo scrisse all’editore di Scheiner delle sue ipotesi riguardanti le macchie solari (secondo il pisano le macchie solari si trovavano nell’atmosfera del Sole), ma quando l’opera di Scheiner su tale fenomeno vide la luce la posizione di Galileo non risultò minimamente menzionata. Galileo lo visse come un affronto e da allora non fece alcuno sconto a Scheiner, il quale però non aveva nessuna colpa perché il suo editore per motivi tecnici non gli aveva messo a disposizione lo scritto di Galileo in tempo utile per integrarne le idee nell’opera. Quando Scheiner ebbe modo di visionare la lettera di Galileo riconobbe che le idee ivi contenute erano corrette, ma oramai era troppo tardi. Da quel momento Galileo e Scheiner non fecero altro che mandarsi continue frecciatine rivendicando ognuno la paternità della scoperta delle macchie solari (intanto Fabricius li aveva battuti entrambi sulla carta stampata). Galileo si era inimicato inutilmente un possibile alleato, e per dare l’idea del livello del confronto basti dire che il pisano prese a deridere i cannocchiali per l’osservazione del Sole creati da Scheiner che pure erano superiori ai suoi. Per quanto riguarda la paternità della scoperta invece, non è chiaro chi abbia osservato prima le macchie tra Scheiner e Galileo, sappiamo però che Galileo, nel corso della disputa, mostrò la tendenza a retrodatare sempre di più la propria scoperta, dando l'impressione di star cercando di imbrogliare.
Comunque nel tentativo di dare un’interpretazione delle macchie solari Galileo immaginò che il sole ruotasse su se stesso, e questo può averlo incoraggiato ad immaginare anche la Terra in rotazione attorno ad un proprio asse. Le scoperte più rilevanti per le dispute cosmologiche dell’epoca sono però quelle inerenti i pianeti medicei e le fasi di Venere.
La scoperta dei pianeti medicei, ossia dei satelliti di Giove, fruttò a Galileo la nomina di filosofo di corte di Cosimo II De Medici, con tanto di salario, e questo gli attirò invidie da ogni dove visto che Galileo effettivamente non aveva la formazione per fregiarsi di tale titolo, essendo egli solo un matematico.
L’impatto di questa scoperta sui modelli tradizionali comunque fu ambiguo, nel senso che da una parte poteva suggerire l’idea dell’eliocentrismo, visto che dimostrava che non tutto girava attorno alla Terra come voleva Aristotele, ma dall’altra, per lo stesso motivo, dava maggior credito agli epicicli (presenti tanto nel modello copernicano quanto in quello tolemaico), che fino ad allora erano visti più che altro come artificio matematico e che oggi sappiamo non avere alcun fondamento fisico. Lo stesso Galileo si rendeva conto di ciò e prendeva posizione a favore degli epicicli. A Federico Cesi, che gli diceva che avrebbe accettato volentieri il copernicanesimo se si fossero eliminati epicicli, deferenti ecc, rispondeva: “[...] se alcuno vorrà negare questi, converrà che neghi le revolutioni delle Stelle Medicee intorno a Giove […] et negando quelli, converrà dire che il vedere Marte hora vicinissimo alla terra et hora lontanissimo sia una illusione”.
Constatare che dei corpi celesti, in questo caso i pianeti medicei, potessero girare attorno ad un centro che non fosse la Terra, nella fattispecie infatti i pianetini ruotano attorno a Giove, ha incoraggiato Galileo ad ipotizzare che la Terra stessa non fosse il centro di rotazione di tutti gli astri, con tutto quello che ne consegue. Ma a fargli rifiutare completamente e definitivamente il sistema tolemaico a favore di quello copernicano fu la scoperta delle fasi di Venere:  il fatto che Venere mostrasse delle fasi come la Luna era inconciliabile col modello cosmologico elaborato da Tolomeo mentre si sposava bene col modello elaborato da Copernico. Tuttavia non era ancora il trionfo dell’eliocentrismo, visto che esistevano diversi modelli geocentrici alternativi a quello di Tolomeo in cui le fasi di Venere si presentavano senza problemi.

Galileo: i primi anni
Delle sue principali scoperte Galileo iniziò a parlare in vari scritti. Del 1610 il “Sidereus Nuncius”, opera in cui venne rivelata la presenza di rilievi e valli sulla Luna, di satelliti orbitanti attorno a Giove e delle fasi di Venere. Nel libro tutto era inserito poi all’interno di un contesto eliocentrico. Galileo, usualmente molto restio ad abbandonare casa, per promuovere la sua opera decise, col permesso del suo signore Cosimo II De Medici, di recarsi fino a Roma, dove ricevette un’accoglienza molto calorosa: si tenne una festa in suo onore, gli venne consegnato l’equivalente di un dottorato onorario dal Collegio Romano, papa Paolo V lo ricevette dispensandolo dall’inginocchiarsi come era in uso secondo la prassi dell’epoca, fece amicizia col cardinale Maffeo Barberini che lo prese in grande simpatia e venne ammesso all’Accademia dei Lincei (un’associazione sorta per combattere l’aristotelismo). In questa occasione ebbe anche modo di rivedere una sua vecchia conoscenza, Roberto Bellarmino. Questi era stato professore e Galileo aveva assistito ad una sua lezione di cosmologia in cui veniva mandata in pensione la vecchia teoria delle sfere celesti, da lui ritenuta anche contraria alle Scritture e all’opinione dei Padri della Chiesa. Ora Bellarmino aveva fatto una brillante carriera ecclesiastica ed era diventato cardinale, ma il suo interesse per le scienze non era venuto meno. Bellarmino si mostrò molto interessato alle scoperte di Galileo ed accettò di tentare lui stesso osservazioni col cannocchiale. Incuriosito da tutto ciò, Bellarmino chiese un parere agli astronomi gesuiti sulle osservazioni fatte con questo nuovo strumento e questi confermarono al cardinale tutte le osservazioni fatte da Galileo. Del resto lo stesso Galileo nel suo soggiorno a Roma passò molto tempo con colleghi gesuiti suoi estimatori.
È in questo stesso anno che Galileo effettuò la già citata scoperta delle macchie solari, e ne parlò nel 1613 nelle tre lettere raccolte sotto il titolo di “Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti”. L’opera non si limitò al dato scientifico ma offrì anche l’occasione per polemiche anti-aristoteliche. Inoltre il testo era convintamente copernicano, così come lo era stato il “Sidereus Nuncius”.
Sul finire di quell’annus mirabilis che il 1611 fu per Galileo, le cose iniziarono a prendere una piega diversa, infatti Galileo era molto invidiato per i suoi successi e il suo carattere polemico non aiutava a renderlo amabile: un amico scrisse a Galileo che a Firenze un gruppo di aristotelici capeggiati da Ludovico delle Colombe stava cercando di trovare qualche cavillo per far passare a Galileo dei guai con le istituzioni ecclesiastiche. In effetti, dati i tempi tumultuosi, la Chiesa si era dotata da poco, contro l’opinione del clero più tradizionalista, di un organismo deputato al controllo e alla censura dei libri (non era una novità assoluta, si trattava di uno strumento di cui gli altri governi si servivano già da molto tempo). Quello che si poteva sperare di ottenere per danneggiare uno scienziato come Galileo era di ritardare la pubblicazione di una sua opera. Infatti in assenza di eresie Galileo non rischiava nulla, e se anche avesse fatto qualche affermazione poco ortodossa in materia di fede, era sufficiente l’abiura per chiudere il caso senza rogne più grandi, il problema è che la Congregazione dell’Indice dei Libri proibiti poteva ritirare temporaneamente un libro dal mercato, o ritardarne la pubblicazione, per avere il tempo di esaminarlo (lo stesso Bellarmino, inquisitore, vide una sua opera temporaneamente messa all’Indice). Il più delle volte il libro, specie se di argomento non teologico, dopo l’esame tornava tranquillamente pubblico, al massimo con pochi emendamenti marginali (in genere ci si limitava a togliere le citazioni bibliche perché in piena Controriforma era fondamentale far passare il messaggio che l’esegesi biblica era di dominio esclusivo della Chiesa). Tuttavia il ritardo di una pubblicazione poteva causare qualche problema all’autore di un libro. L’opera di Galileo sulle macchie solari fu oggetto di questo tipo di attenzioni da parte della Congregazione dell’Indice, ma la commissione esaminatrice non trovò nulla di eretico nello scritto e si limitò a chiedere a Galileo di eliminare gli inopportuni riferimenti biblici. A quanto pare l’adesione alla teoria copernicana non costituiva allora motivo di scandalo o anatema. Ludovico delle Colombe (poi soprannominato “il pippione”, cioè “il piccione”, da Galileo) odiava il fatto che Galileo mettesse in discussione l'aristotelismo,  e con i suoi sodali fece pressioni sul domenicano Niccolò Lorini perché attaccasse Galileo in una delle sue prediche (la scelta di ricorrere ad un domenicano può non essere stata casuale, in effetti tra domenicani e gesuiti c’era molta rivalità, e questi ultimi inizialmente parteggiavano decisamente per Galileo). Per fortuna l'arcivescovo Alessandro Marzimedici, ben disposto verso Galileo, mise a posto il Lorini. Anche i superiori dell’ordine domenicano lo rimproverarono e lo obbligarono a chiedere scusa a Galileo. Nel 1613, Padre Benedetto Castelli, amico ed allievo di Galileo, che sostituiva nelle lezioni universitarie che Galileo non voleva più tenere, ad una festa organizzata da Cosimo II si mise a parlare delle nuove scoperte astronomiche. La madre del regnante, Cristina di Lorena, prese a controbattere al copernicanesimo brandendo le Scritture, e Castelli rispose con le proprie argomentazioni. Il problema sorse quando, dopo aver riportato queste cose a Galileo, lo scienziato pisano ebbe preso la decisione di scrivere le sue argomentazioni sulla concordanza tra osservazioni e Bibbia, ritenendo evidentemente quelle di Castelli incomplete. Castelli restò ammirato dalle argomentazioni del maestro, e quindi commise l'imprudenza di far circolare questa sua lettera. Una copia cadde sfortunatamente nelle mani di Lorini. Lorini decise di rigirare la lettera al prefetto della Congregazione dell’Indice, Paolo Sfrondati,  assieme alla seguente accusa: i “Galileisti” vogliono esporre le Sacre Scritture a modo loro (come si vede, il copernicanesimo non è minimamente citato). Dal momento che la lettera non era in stampa, l'Indice decise che il suo esame non fosse di sua giurisdizione, e quindi la rigirò al Sant'Uffizio, cui apparteneva Bellarmino. Il risultato dell'esame della lettera non portò però a nulla, il contenuto fu considerato ortodosso e la cosa finì lì.  A questo documento è legata una ricostruzione dei fatti che solo di recente è stata messa in discussione, infatti la copia della lettera consegnata da Lorini alle autorità mostra, rispetto ad altre copie in nostro possesso, delle divergenze sospette che fecero credere per molto tempo ad una deliberata manomissione da parte del domenicano, mirata a mettere Galileo in cattiva luce: in luogo di “Si trovano nella Scrittura molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto diverso dal vero” si trova “Si trovano nella Scrittura molte proposizioni che sono false quanto al nudo senso delle parole” , e in luogo di “Non s'è astenuta la scrittura d'adombrare de' suoi principalissimi dogmi, attribuendo sino allo stesso Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza” si trova “Non s'è astenuta la scrittura di pervertire de' suoi principalissimi dogmi, attribuendo sino allo stesso Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza”. 
Oggi nuove scoperte hanno ribaltato completamente la situazione: la lettera consegnata da Lorini era fedele all'originale, le altre copie con le affermazioni più blande e meno controverse furono invece realizzate da Galileo successivamente, nel tentativo di rendere meno compromettenti le proprie affermazioni.
Al di là di tutto, è rilevante che in occasione di questa vicenda lo stesso Bellarmino assicurò a Galileo, tramite il cardinale Dini al quale lo scienziato aveva consegnato una copia della lettera, che un'opera sul sistema copernicano sicuramente non sarebbe mai stata censurata, ma al massimo corredata di qualche postilla.
Secondo Bellarmino l'importante era presentare il modello come puramente ipotetico finché non ci fossero state delle prove. Il cardinale ammise anche tranquillamente che un passo della Bibbia potesse rivelarsi sotto un'altra luce, e quindi  che si rendesse necessario interpretarlo diversamente, al sopraggiungere di nuove evidenze scientifiche. Ma sottolineò che una nuova interpretazione esegetica potesse essere fatta solo sulla scorta di fatti, non di ipotesi, e soprattutto che queste cose in ogni caso fossero di pertinenza dei teologi, non dei matematici! Questa apertura di Bellarmino alla discussione di certi fatti è testimoniata anche da una lettera che inviò al carmelitano Paolo Foscarini: “Dico che quando ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l'intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata: né è l'istesso dimostrare che supposto ch'il Sole stia nel centro e la Terra nel cielo, si salvino le apparenze, e dimostrare che in verità il Sole stia  nel centro e la Terra nel cielo; perché la prima dimostratione credo che ci possa essere, ma della seconda ho gradissimo dubbio, et in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa esposta da' Santi Padri” Una vera e propria lezione magistrale di epistemologia. Per quanto riguarda Galileo, egli riteneva in realtà il moto della Terra non solo non contraddetto dalla Bibbia, ma addirittura in perfetta concordanza con essa. Ancora oggi si racconta spesso che la chiusura di alcuni teologi nei confronti dell’eliocentrismo fosse basata sull’interpretazione letterale del seguente passo biblico:

“Quel giorno, quando il Signore diede a Israele la vittoria sugli Amorrei, Giosuè pregò il Signore e gridò alla presenza di tutti gli Israeliti: 'Sole, fermati sul Gabaon! E tu, Luna, sulla valle di Aialon! Il sole si fermò, la luna restò immobile, un popolo si vendicò dei suoi nemici'. Questo avvenimento è descritto nel 'Libro del Giusto'; per quasi un giorno intero il sole restò in alto nel cielo, senza avviarsi al tramonto. Un giorno come quello non c'è mai stato né prima né dopo di allora, quando il Signore ubbidì a un essere umano e combattè al fianco di Israele” (Giosuè 10, 12-14)

I teologi non avrebbero inteso quel “Sole, fermati” come un semplice e comprensibile modo di dire legittimamente dettato dalle apparenze, anche senza dover discutere della relatività dei moti, ma come il riconoscimento di una verità cosmologica. In effetti però questo stesso passo fu utilizzato da Galileo a sostegno della propria tesi: lo scienziato si era infatti convinto non solo che la terra e gli altri pianeti si muovessero attorno al sole, ma anche che questo moto fosse prodotto dalla rotazione del sole su se stesso, e dunque quando Giosuè invocò l’arresto del sole quel che ottenne fu la cessazione della sua rotazione e, di conseguenza, l’arresto dei moti di rivoluzione degli altri astri coinvolti. Ecco perché, a dire di Galileo, questo passo andava a confermare in realtà l’eliocentrismo. Inutile dire che in piena controriforma non era ben visto che dei laici mettessero bocca sull’esegesi biblica.

Galileo: i nemici e gli amici
Un nuovo tentativo di destabilizzare l'ambiente venne da un altro domenicano: Tommaso Caccini in un sermone arrivò ad affermare che secondo lui i matematici (ricordiamo che con questo termine però si indicavano indifferentemente matematici, astronomi ed astrologi!), propagatori di ogni sorta di idea eretica, dovessero essere banditi dagli stati italiani. Una frecciatina a Galileo? Molto verosimile, il sermone si appoggiava al verso di Atti 1:11 “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”, dove “Uomini di Galilea”, in latino, poteva essere tradotto anche come “Uomini di Galileo”. Affermazioni di questo tipo erano potenzialmente pericolose, in quanto i matematici potevano essere davvero ragionevolmente sospettati di eresia in quanto fabbricavano anche oroscopi, e l'astrologia era condannata dalla Chiesa. Quello che però è necessario notare è che la predica di Caccini ha qualcosa di strano, che già i contemporanei devono aver notato: Galileo era un protetto del granduca, Caccini un umile frate, di quali appoggi segreti poteva godere quest'ultimo per permettersi tanta insolenza? Tuttavia Padre Luigi Maraffi, maestro Generale dei Domenicani, scrisse a Galileo una lettera di scuse per il comportamento di Caccini: “poiché per mia disgrattia sto a parte di tutte le bestialità che possono fare et che fanno trenta o quaranta frati”. Caccini verrà aspramente criticato per le sue “coglionerie” perfino dal fratello. Non fu comunque l’unica grana che Galileo rischiò di avere a causa dell’astrologia: tempo dopo fu oggetto di un pettegolezzo secondo il quale aveva predetto con un oroscopo la morte del papa (che allora era Urbano II, ossia Maffeo Barberini, grande amico di Galileo). Alla consueta ostilità della Chiesa verso l’astrologia si aggiungeva il fatto che un oroscopo del genere era, politicamente, una bomba ad orologeria. Proprio per il potenziale sovversivo di simili oroscopi gli astrologi erano stati perseguitati ripetutamente già nell’antica Roma. Ora, Galileo, come molti astronomi del suo tempo (ad esempio Keplero e Brahe) si interessava effettivamente di astrologia e fabbricava oroscopi, ma quello sulla morte del papa proprio non l’aveva scritto. Il pettegolezzo era nato da una cosa molto più innocente: Galileo aveva cenato assieme a Padre Orazio Morandi, che effettivamente aveva pronosticato la morte del papa con un oroscopo. Ad ogni modo, preoccupato da tale calunnia, Galileo chiese all'amico Michelangelo, nipote dell'omonimo pittore, di spiegare a Francesco Barberini che lui non c'entrava nulla, ma il cardinale non diede nemmeno il tempo a Michelangelo di finire di parlare che subito lo interruppe dicendo che non aveva prestato alcun credito al pettegolezzo e che Galileo doveva stare tranquillo perché il papa era il migliore amico che avesse. Tornando a Caccini, la reprimenda subita non lo mise a posto: si recò dal cardinale Michelangelo Seghizzi, Commissario Generale dell'Inquisizione, e gli propinò una serie di calunnie ai danni di Galileo e dei suoi. Sostenne che i “galileisti” affermavano che “Iddio non è altrimente sustanza, accidente”, che “i miracoli che si dicono fatti da' Santi, non sono veri miracoli” e che “Iddio è sensitivo” (cioè ride e piange, come un essere umano). In realtà Galileo diceva esattamente l'opposto di queste cose! Galileo si era limitato ad indicare passi biblici che, presi alla lettera, potevano far concludere queste cose, ma proprio allo scopo di dimostrare che la Bibbia non andava intesa sempre alla lettera! Nella sua accusa, Caccini allude anche a presunte corrispondenze tra Galileo e sospetti uomini della Germania. Il riferimento è probabilmente a Keplero, ma verosimilmente è buttato là per lasciar intendere che Galileo abbia losche simpatie per i luterani. L'inquisitore chiese a Caccini se avesse prove di queste cose, e Caccini rispose di aver sentito queste cose da Lorini, ma anche che possedeva, come prova, la famosa lettera di Galileo a Castelli. L’inquisitore però, come sappiamo, l’aveva già visionata senza trovarvi nulla di scomodo. Seguirà un interrogatorio di vari testimoni citati da Caccini che si concluderà in un nulla di fatto, perché gli inquisitori si accorgeranno che tali testimonianze erano solo inganni. Da notare che il calunniatore Caccini aveva messo in mezzo anche l'eliocentrismo di Galileo, ma gli inquisitori nei loro interrogatori si concentrarono su tutte le altre calunnie senza prestare attenzione a questa cosa, che evidentemente per loro non aveva nulla a che fare con le eresie. Dopo questo elenco di insidie tese ai danni di Galileo (del tutto ignaro sia delle inchieste che delle archiviazioni, perché tali procedure erano coperte da segreto per tutelare la privacy delle persone coinvolte) si capisce una cosa: Galileo ha nelle gerarchie ecclesiastiche un potente alleato, quello che gli consente di superare indenne questi anni nonostante tutto, ed è una fortuna visto che i cospiratori cercano di rovinarlo proprio attraverso le istituzioni ecclesiastiche. A conferma di ciò, si potrebbe aggiungere alla lista la denuncia a suo carico che qualcuno espose al Sant’Uffizio per via dell’atomismo da lui professato: secondo alcuni infatti l’atomismo negava la dottrina della transustanziazione (quella secondo la quale pane e vino con la consacrazione si tramutano nel corpo e nel sangue di Cristo). All'epoca la transustanziazione veniva spiegata con terminologia aristotelica, e si diceva, per esempio, che la sostanza del pane si trasforma nel corpo di Cristo lasciando inalterati solo gli accidenti, ossia sapore, odore, consistenza, ecc. Ma dal punto di vista dell’atomismo di Galileo qualità come sapore, odore ecc non risiedono nell'oggetto ma nella percezione del soggetto. E tuttavia se sono solo soggettive, cosa rimane allora dopo la transustanziazione? Per fortuna il cardinale Francesco Barberini, membro del Sant'Uffizio e nipote del papa, coadiuvato dal teologo Giovanni di Guevara, concluse che non c'era eresia, né gli estremi per procedere.
Tra i sostenitori più tenaci di Galileo c’erano i gesuiti, ma Galileo riuscì ad inimicarsi anche loro, non senza grosse responsabilità personali. Nel 1619 si ficcò in un'assurda e velenosissima polemica col gesuita Orazio Grassi, professore di matematica al Collegio Romano, il quale sosteneva, correttamente, che le comete fossero oggetti celesti tra il Sole e la Terra. Galileo le liquidava invece, seguendo Aristotele, come un riflesso della luce solare che rimbalza sui vapori ad alta quota emanati dalla Terra. In questa querelle il pisano non lesinò insulti anche pesanti al povero Grassi che aveva esordito nel campo con molta umiltà e presentando tutte le sue idee come semplici ipotesi. Nella polemica infilò dentro, inutilmente, altri astronomi, in particolare gesuiti come Grassi, e fu così che Galileo finì con l'alienarsi le simpatie dell'ordine che lo aveva sempre supportato. In questa vicenda oltretutto si arrampicò spudoratamente sugli specchi nel tentativo di negare di aver scritto cose che invece campeggiavano ben in vista nei suoi elaborati.

Galileo: la protezione della Chiesa
Appurato che Galileo è stato oggetto continuativamente di complotti mirati a comprometterlo con le autorità ecclesiastiche, che tali autorità  l’hanno sempre protetto e che nelle loro inchieste il copernicanesimo non è stato mai considerato rilevante in alcun modo, resta da capire come gli eventi siano precipitati fino al triste epilogo del processo. Cosa è accaduto in quegli anni? Anche se Galileo non poteva sapere quante volte era stato vicino a passare dei guai con la giustizia ecclesiastica, sapeva di avere dei nemici, e quando Caccini nel 1615 si recò a Roma subito sospettò che stesse macchinando qualcosa. Ecco perché decise, contro la sua indole, di lasciare di nuovo casa per tornare a Roma, in modo da poter esporre personalmente, senza distorsioni, le proprie idee. Venne accolto nuovamente in modo festoso e divenne l'attrazione principale dei banchetti con le sue battute mordaci. Sicuramente stava guadagnando simpatie, ma non tra le persone che più contavano, e in tutto ciò stava attirando molto l'attenzione. Fu così che il Sant'Uffizio, per puro scrupolo, chiese un parere ad una commissione di undici teologi riguardo a due argomenti: la centralità e immobilità del Sole e il moto su se stessa e attorno al Sole della Terra. Per quanto riguarda il primo punto, la risposta dei teologi fu la seguente: “[l'idea che il Sole sia al centro del mondo e immobile è]stolta e assurda in filosofia; e formalmente eretica, in quanto contraddice espressamente il contenuto delle Sacre Scritture in molti passi, secondo sia il loro senso letterale che l'interpretazione comune che ne viene data dai Santi Padri e dai teologi”. Mentre la risposta al secondo fu questa: “[l'affermazione che la Terra si muova] riceve la stessa censura in filosofia; e riguardo alla verità teologica, è almeno erronea nella fede”. Papa Paolo V sembrò incline a decretare il copernicanesimo come contrario alla fede, ma i cardinali Antonio Caetani e Maffeo Barberini riuscirono a convincerlo che non fosse il caso. Restò però l'intenzione di imporre agli scienziati di presentare le loro teorie solo come ipotesi, ed ecco perché di lì a breve l'opera di Copernico venne messa all'indice in via provvisoria, giusto il tempo di apporre le adeguate correzioni. Barberini convinse il papa soprattutto a non dichiarare il copernicanesimo eretico, ma solo falso e contrario alle Scritture. L'opinione dei teologi era stata mitigata: “falso” poteva essere corretto con nuove informazioni, “contrario alle Scritture” aggiustato da una nuova comprensione dei testi, mentre l'eresia sarebbe stata per sempre e foriera di conseguenze nefaste. Affinché queste misure dell'indice non cogliessero Galileo impreparato, il papa ebbe la premura di ordinare a Bellarmino di convocare Galileo per informarlo in anteprima del prossimo decreto. Galileo doveva solo essere avvisato, le maniere brusche erano riservate esclusivamente all'eventualità che Galileo non avesse accettato le limitazioni dell'indice (in quel caso Bellarmino avrebbe dovuto presentare a Galileo un'ingiunzione inclusiva di minaccia di carcerazione). Fu così che il 26 febbraio 1616 Galileo venne convocato da Bellarmino, alla presenza di Seghizzi e altri due ospiti. Gli venne presentata l'anteprima del decreto che stava per essere pubblicato e Galileo non ebbe nulla da obiettare. Subito dopo però Seghizzi gli presentò l'ingiunzione, quella che in realtà avrebbe dovuto presentargli solo in caso di ritrosia ad obbedire da parte di Galileo. Era un'ingiunzione ad abbandonare il copernicanesimo e a desistere dall'insegnarlo o difenderlo sia a voce che per iscritto, un'ingiunzione dunque più drastica del decreto stesso e delle intenzioni  di partenza del papa e di Bellarmino. Ora, la prassi voleva che un'ingiunzione dovesse essere firmata dal destinatario, in questo caso Galileo, e dagli Ufficiali, con un notaio ad autenticare le firme. Di quell'incontro invece non ci è rimasto altro che una trascrizione amministrativa, non firmata e scritta in maniera informale, sul retro libero di un altro documento. Ovvio che non possa trattarsi di un documento ufficiale. Il decreto infine venne pubblicato, e riguardò solo l'opera di Copernico e due libri di Diego de Zuniga e Paolo Foscarini (solo l'opera di quest'ultimo sarà effettivamente soppressa, gli altri libri torneranno dopo poco in circolazione con qualche correzione). Nessuna menzione alle opere di Galileo, il quale nel frattempo venne pure ricevuto dal papa. Il pontefice, tra l’altro, gli garantì che nessuno avrebbe dato ascolto alle calunnie contro di lui. Girò comunque voce che Galileo fosse stato accusato di eresia e costretto ad abiurare. Lo scienziato si stizzì e chiese a Bellarmino un certificato che attestasse che si trattava solo di menzogne. Bellarmino fu ben lieto di fare questo favore a Galileo. Con questo documento in tasca, alla ripubblicazione dell'opera di Copernico (con pochissime correzioni marginali) Galileo si sentì in diritto, come chiunque, di discutere del copernicanesimo almeno come mera ipotesi. Si è frequentemente accennato all’appoggio che le alte cariche ecclesiastiche hanno dato a Galileo, ma non è stato approfondito il rapporto con il protettore più potente che Galileo potè vantare all’interno della Chiesa, Maffeo Barberini. Tanta è l'ammirazione che Maffeo Barberini nutriva per Galileo, che, nel 1620, gli spedì un poemetto latino a lui dedicato, l'Adulatio Perniciosa, con versi come i seguenti: “Non sempre, ciò che è al di fuori irradia fulgore, Risplende dentro: scorgiamo le nere macchie Nel Sole (chi crederebbe?) scoperte Dal tuo ingegno, O Galileo”. Questo già potente amico di lì a poco diventerà potentissimo, infatti Maffeo Barberini nell'agosto del 1623 divenne papa col nome di Urbano VIII. Per rendere l'idea dell'amicizia che lo legava a Galileo basti dire che quando Cesi gli si presentò per fargli le sue congratulazioni il novello papa lo interruppe per chiedere “Galileo viene? Quando viene?”, e Galileo non potè proprio esimersi dall'andare a trovarlo, quindi tornò a Roma, dove il papa gli concesse sei udienze in sei settimane! Al nuovo pontefice dedicherà Il Saggiatore, uscito nell'ottobre dello stesso anno. Quest’opera, in cui Galileo insultava gratuitamente Grassi e Brahe, era destinata ad esacerbare gli animi, nonché a riaccendere vecchie polemiche come quella contro Scheiner. Ma il papa dal canto suo l’apprezzò molto e ne trasse gran divertimento. Promise al figlio di Galileo una pensione sostanziosa, e per il convento della figlia suora scelse un cappellano migliore. Galileo invece ricevette in dono medaglie d'oro e d'argento, un quadro ed altre cose. Ma, in anticipo sugli epistemologi novecenteschi, Urbano mise anche in guardia Galileo: il fatto che un modello matematico funzioni non implica affatto che sia corretto!
Intanto fu proprio lui a suggerire a Galileo di scrivere un libro in cui si mettessero a confronto tutti i sistemi cosmologici dell'epoca valutando per ognuno i pro e i contro. Questo libro vedrà poi la luce col titolo di “Dialogo sui massimi sistemi”.

Il Dialogo è strutturato come una conversazione fra tre amici, Filippo Salviati (nome preso da un defunto amico di Galileo) a difendere il copernicanesimo, Giovanfrancesco Sagredo (altro amico defunto di Galileo) come uomo di mentalità aperta ma palesemente già pendente verso il copernicanesimo e Simplicio (chiamato come un commentatore di Aristotele del VI secolo, ma il nome può suonare anche come “sempliciotto”), personaggio modellato su Ludovico Delle Colombe e che finì col dare grossi guai a Galileo. L’alternativa che viene presentata al copernicanesimo è il modello tolemaico, che in realtà all’epoca era già stato abbandonato da tutti, mentre non si fa cenno al sistema ticonico, quello a cui si prestava più credito, nonostante in alcune lettere Galileo si fosse vantato di averlo confutato. Contrariamente a quanto il papa aveva suggerito, Galileo nel libro non resiste a presentare il copernicanesimo come evidentemente superiore: Salviati argomenta brillantemente, mentre Simplicio fa una magrissima figura da sciocco. Galileo si sforza di dimostrare il copernicanesimo al di là di ogni ragionevole dubbio, cosa molto difficile visto che, come sappiamo, il copernicanesimo, senza le orbite ellittiche che Galileo rifiutava (nonostante il consiglio di integrarle nel suo modello da parte di Federico Cesi), è sbagliato! Il modello copernicano non poteva fare predizioni migliori di quello ticonico per il semplicissimo fatto che i due modelli sono matematicamente coincidenti. Il primo poteva convenire per semplificare i calcoli (ma non è nemmeno vero per le applicazioni pratiche, infatti tutti i risultati ottenuti col sistema copernicano dovevano poi essere convertiti in coordinate ticoniche perché fossero utili!), ma per quanto riguarda la sua plausibilità fisica, la cosa a cui teneva Galileo, il secondo sollevava meno problemi. Ad esempio il modello ticonico era perfettamente in linea col fatto che nelle stelle non si osservavano fenomeni di parallasse (qui una spiegazione sintetica del fenomeno e del problema che rappresentava). Galileo invece doveva inventarsi qualcosa per giustificare l'assenza di questa cosa che era prevista dal suo modello. Si salvò indicando le stelle ad una distanza praticamente infinita, tuttavia questa era solo un'ipotesi, non un fatto, che oltretutto si scontrava apparentemente con il fatto che al telescopio le stelle, per via di quel fenomeno di aberrazione ottica noto oggi come disco di Airy, apparivano di dimensioni tali che, se avesse avuto ragione Galileo sulle distanze, sarebbero state in gran parte inverosimilmente gigantesche (sarebbero state in pratica molto più grosse dello stesso sistema solare!). Tuttavia il pisano (o meglio, il suo amico Lodovico Ramponi) alla fine ebbe un'idea davvero brillante che avrebbe potuto risolvere il problema. Dal momento che, come molti altri, riteneva che la luminosità dei corpi celesti fosse legata alla loro distanza dalla Terra (oramai non si credeva più al cielo delle stelle fisse, con gli astri tutti alla stessa distanza dalla Terra), riteneva che se avesse osservato due stelle apparentemente vicine tra loro ma con grossa differenza di luminosità (e dunque a distanze molto diverse dalla Terra), avrebbe potuto osservare un fenomeno di parallasse. Castelli gli suggerì una coppia di stelle apparentemente perfetta per lo scopo, e Galileo prese ad osservarla durante l'anno. L'idea era ottima, e davvero Galileo avrebbe potuto trovare l'evidenza della parallasse e dimostrare il moto della Terra, ma... non trovò nulla! Galileo non poteva sapere di aver scelto, tra le innumerevoli stelle del cielo, proprio il sistema di Mizar, un'autentica stella doppia, assolutamente inadatta ai suoi scopi perché i suoi due astri si trovano praticamente alla stessa distanza dalla Terra. Lo sfortunatissimo Galileo, che forse non immaginava nemmeno che potessero esistere sistemi stellari veramente binari, contro le sue stesse intenzioni aveva falsificato la sua teoria: l'assenza di parallasse dimostrava che nell'impianto teorico di Galileo c'era qualcosa che non andava (ed ovviamente non era l'idea del moto terrestre, ma la premessa sulle distanze delle stelle, solo che Galileo non poteva saperlo). Cosa dovrebbe fare uno scienziato quando vede falsificata la propria teoria? Ammettere di aver sbagliato qualcosa e rivedere le proprie ipotesi di partenza. Cosa fece Galileo? Non disse niente a nessuno, e oltretutto nel Dialogo non mancò di elogiare questo metodo, nonostante in precedenza avesse confutato le sue ipotesi di partenza! Ad ogni modo l'arma segreta di Galileo era un’altra: secondo lui le maree dimostravano il moto della Terra, nonostante questa affermazione fosse in contraddizione con le sue stesse teorie sulla dinamica. E dire che all'epoca si era già capito che le maree erano prodotte dalla Luna, e a Galileo l'avevano ricordato molti ecclesiastici con cui si era confrontato e lo stesso Keplero. Oltretutto venne a sapere dai marinai spagnoli che i cicli delle maree non sono quelli attesi dalla sua teoria (dodici ore anziché ventiquattro). Ma nulla da fare, per Galileo la teoria lunare non era altro che una “fanciullaggine”!
Nell'aprile del 1630 Galileo finiva il suo Dialogo Sui Massimi Sistemi, e da febbraio percepiva una pensione di 40 scudi l'anno elargita dal papa. Come da prassi, il libro doveva passare al vaglio dell'indice, e il Maestro del Sacro Palazzo, colui che doveva approvare il libro per la pubblicazione, era Niccolò Riccardi, detto Padre Mostro per la sua enorme stazza. Padre Mostro, avendo inteso che l'opera sembrava difendere il copernicanesimo, senza ancora averla letta insistette affinché venissero aggiunti una prefazione ed una conclusione che enfatizzassero la natura ipotetica dello studio, in modo da mostrare “che la Santa Congregazione nel disapprovare Copernico ha agito in maniera interamente ragionevole”.  Passò allora il manoscritto al Maestro del Sacro Palazzo, e professore di matematica, Raffaello Visconti (che prese parte assieme a Galileo alla famosa cena con l'astrologo), che approvò prefazione e conclusione. Galileo intanto se ne tornò a Firenze. Era là che avrebbe voluto pubblicare il suo Dialogo, e chiese quindi a Padre Mostro il permesso di farlo. Questi rispose a Galileo che avrebbe potuto pubblicare ovunque avesse voluto, ma prima avrebbe dovuto fornirgli una copia per eventuali correzioni. Solo che nel frattempo un'epidemia di peste stava rallentando tutti i servizi, compresi quelli postali, e Galileo, che aveva fretta di pubblicare e che sapeva quanto tempo potesse costare una correzione, chiese a Padre Mostro se la correzione dell'opera non potesse essere fatta direttamente a Firenze, lasciando alla sua personale supervisione eventualmente la prefazione e la conclusione, che lui stesso aveva preteso. Ricordiamo che Galileo era un protetto dei Medici, e in questa occasione non mancò di sfruttare queste sue amicizie politiche: la moglie dell'ambasciatore fiorentino a Roma Niccolini, Caterina Riccardi, fece pressioni su suo cugino Padre Mostro affinché accettasse la proposta di Galileo. Padre Mostro cedette, ma solo a patto che la versione finale dell'opera venisse esaminata da un domenicano qualificato. Galileo propose Padre Jacinto Stefani, consulente dell'Inquisizione Fiorentina, ma Padre Mostro non era del tutto convinto. Alla fine, sotto pressioni politiche, si convenne che Riccardi passasse all'inquisitore fiorentino Clemente Egidi il compito di valutare se concedere l'imprimatur al corpo centrale dell'opera, mentre Riccardi avrebbe valutato prefazione e conclusione e inviato, a esame concluso, la versione corretta a Firenze. All’inquisitore fiorentino affidò però queste direttive:
1) Se la Scrittura non viene presa in considerazione, il Copernicanesimo può essere presentato come una teoria che spiega i dati, senza pretese sulla realtà fisica
2) Il libro viene scritto per dimostrare che Roma non condanna il copernicanesimo senza conoscere tutti gli argomenti in suo favore.
Alla fine, assillato perché si sbrigasse (Galileo non aveva fatto altro che lamentarsi coi suoi amici potenti, facendo credere loro però che Padre Mostro aveva letto l'intero testo e mai menzionando né che l'argomento trattato era controverso né che anni prima gli era stato intimato di andarci cauto con questi temi), Riccardi inviò a Firenze, con le correzioni, solo la prefazione, limitandosi a dire che la conclusione doveva essere dello stesso tenore (quindi non l'aveva letta e aveva rinunciato a farlo). Qui sorge il problema grosso: Galileo nella conclusione riportava, come doveva, l'opinione del papa, per altro molto sensata, secondo la quale nessun modello matematico poteva garantire di fornire la vera descrizione fisica dei fenomeni, ma la mise in bocca allo sciocco Simplicio. Va detto che forse Padre Mostro non avrebbe colto comunque la beffa, non avendo letto il resto dell'opera, dalla quale si evince che il personaggio di Simplicio è uno scemotto ottuso. In ogni caso l'inquisitore fiorentino aveva approvato, dal canto suo, il corpo centrale dell'opera (non è chiaro se ebbe modo di dare un'occhiata a prefazione e conclusione), e Galileo interpretò il suo consenso unito a quello di Riccardi su prefazione e conclusione come l'imprimatur che stava aspettando.
Il libro finalmente venne pubblicato, ma qualcuno fece notare al papa, già nervoso per questioni politiche molto gravose, quello che sembrava un insulto alla sua persona. Il pontefice fu sinceramente ferito dalla beffa che secondo lui Galileo gli aveva rivolto, e nell’immediato tolse il libro dalla circolazione in attesa di una revisione. Una commissione speciale esaminò l'opera ed individuò una lista di problemi:
1) Con tale libro Galileo aveva violato un'ingiunzione del 1616 che gli impediva di asserire la mobilità della Terra e la fissità del Sole
2) L’autore aveva spiegato le maree col moto della Terra (il papa si era caldamente raccomandato con Galileo di non insistere con questa storia che faceva acqua da tutte le parti)
3) L’autore aveva taciuto fraudolentemente un precetto comminatogli dal Sant'Uffizio nel 1616.
Fu quest'ultima cosa ad inasprire oltremodo l'animo di Urbano VIII, che naturalmente si sentiva tradito e preso in giro dall'amico che tanto aveva rispettato e difeso (a ciò aggiungiamo che nell'intrico di stressanti difficoltà politiche che il papa stava avendo in questo periodo, il cardinale Gaspare Borgia, ambasciatore spagnolo a Roma, aveva accusato il pontefice di aver trascurato la cura dell'ortodossia cattolica, sia in politica estera sia mostrando apertura verso l'eliocentrismo). Ma il punto cruciale della questione è che questa ingiunzione, come sappiamo, non gli era stata davvero fatta, o per lo meno non c'era nulla di chiaro ed ufficiale al riguardo. Quel famoso giorno del 1616 Galileo era stato semplicemente messo al corrente in anteprima delle imminenti nuove disposizioni dell'indice, alle quali doveva attenersi come tutti, ma tali disposizioni non le aveva violate col suo pur discutibilissimo libro. Il problema è che la Commissione aveva scovato quel resoconto sintetico della serata che affermava che Galileo aveva ricevuto da Seghizzi l'ingiunzione a non occuparsi mai più, sotto alcuna forma, del copernicanesimo. Abbiamo però già visto che quel resoconto non era fedele e che soprattutto non era un documento ufficiale (e quindi vincolante), infatti mancavano le firme di rito e il tutto era scritto sul campo vuoto del retro di un altro documento.

Il processo
Il 12 aprile 1633 iniziò il processo a Galileo, processo di cui conserviamo gli atti fortunosamente, infatti facevano parte di quei documenti trafugati da Napoleone nel tentativo di trovare elementi per muovere accuse alla Chiesa Cattolica (è proprio la stessa occasione in cui si persero i verbali del processo a Giordano Bruno). Durante l'interrogatorio, Galileo chiarì che nel 1616 non gli fu consegnata alcuna ingiunzione, né intimata alcuna abiura, e a dimostrazione di ciò esibì il certificato scritto dal cardinale Bellarmino. Sul documento c'era scritto che a Galileo erano solo state notificate le nuove disposizioni dell'indice, quelle che consentivano tranquillamente di trattare il copernicanesimo, a patto che lo si presentasse come semplice ipotesi. Questa carta era in palese contrasto con quella ritrovata dalla commissione, non potevano essere entrambe un fedele resoconto di quell'incontro. Tra le varie cose ad un certo punto gli inquirenti chiesero a Galileo se aveva informato Riccardi dell'ingiunzione del 1616, e in questa occasione avvenne qualcosa di inspiegabile e di controproducente per Galileo: invece di ripetere che nel 1616 non aveva ricevuto alcuna ingiunzione, Galileo rispose che non aveva avvertito Riccardi perché tanto lo scopo della sua opera era quello di confutare il copernicanesimo! Questa risposta è assurda perché il Dialogo è chiaramente uno spot a favore del copernicanesimo, come confermarono all'epoca anche tre periti chiamati ad esaminare l’opera. Uno di questi, Melchior Inchofer, gesuita nemico di Galileo, aggiunse anche che l'autore dell'opera non intendeva il copernicanesimo come semplice ipotesi ma come realtà fisica. I cardinali del Sant'Uffizio concordarono però sul fatto di evitare a Galileo guai troppo seri, e cercarono un patteggiamento: Galileo avrebbe dovuto ammettere una qualche colpa minore e la sentenza sarebbe stata molto mite. Galileo accettò, e in un secondo interrogatorio dichiarò che, avendo riletto il proprio libro dopo tre anni, ora si rendeva conto di aver esposto alcuni argomenti come troppo forti quando in realtà non erano affatto delle prove. La cosa sembrava finalmente giunta a conclusione, una conclusione accettabile oltretutto, ma purtroppo la situazione precipitò tutta assieme: il rapporto riassuntivo che venne redatto, un documento interno che Galileo non vide mai, oltre ad essere formalmente irregolare perché privo di data e firme, mischiava parti accurate e veritiere ad altre tendenziose e ingannevoli. Alcuni fatti importanti erano stati omessi, altre parti furono falsificazioni deliberate. Venne perfino riesumata la denuncia di Lorini con le accuse di Caccini, che il Sant'Uffizio aveva scartato nel 1616. Nel Summarium si taceva della contraddizione tra il certificato di Bellarmino esibito da Galileo e il testo della falsa ingiunzione del 1616, e nessuno dei due documenti era stato allegato. Nessun accenno nemmeno al patteggiamento finale. Quello che un lettore avrebbe dedotto da questo riepilogo finale era che Galileo fosse da anni un incallito disobbediente. Questo distrusse definitivamente ogni possibilità di sistemare le cose senza danni rilevanti. Cosa è accaduto? Fin troppo evidente che la congiura contro Galileo sia riuscita a penetrare fin dentro le alte cariche giudiziarie della Chiesa, ma purtroppo non sappiamo di preciso come sia successo e chi fossero i congiurati. Ciò che sappiamo è che questo Summarium non è stato rifiutato all'unanimità dalla congregazione, come ci si sarebbe aspettato, quindi evidentemente alcuni membri erano della tresca o comunque volevano che Galileo pagasse qualcosa. Probabilmente si trattava dei cardinali romani, pregni di pregiudizio anti-toscano, mentre a contestare il resoconto fasullo devono esserci stati quelli del clan toscano. Sia come sia, dev'essersi prodotta una situazione di stallo, perché la decisione venne passata direttamente al papa, il quale accettò il Summarium, curiosamente però senza firmarlo. Galileo venne condannato. Non per eresia, ma per aver disobbedito ad un precetto che in realtà non gli fu mai comminato. Il testo della sentenza comunque è un vero disastro in cui vengono mischiate cose vere e cose false:

“Essendo che tu, Galileo fìg.lo del q.m. Vinc.o Galilei, Fiorentino, dell'età tua d'anni 70, fosti denunziato del 1615 in questo S.o Off.o, che tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch'il Sole sia centro del mondo e imobile, e che la Terra si muova anco di moto diurno; ch'avevi discepoli, a' quali insegnavi la medesima dottrina; che circa l'istessa tenevi corrispondenza con alcuni mattematici di Germania; che tu avevi dato alle stampe alcune lettere intitolate Delle macchie solari, nelle quali spiegavi l'istessa dottrina come vera; che all'obbiezioni che alle volte ti venivano fatte, tolte dalla Sacra Scrittura, rispondevi glosando detta Scrittura conforme al tuo senso; e successivamente fu presentata copia d'una scrittura, sotto forma di lettera, quale si diceva esser stata scritta da te ad un tale già tuo discepolo, e in essa, seguendo la posizione del Copernico, si contengono varie proposizioni contro il vero senso e auttorità della Sacra Scrittura; Volendo per ciò questo S.cro Tribunale provedere al disordine e al danno che di qui proveniva e andava crescendosi con pregiudizio della S.ta Fede, d'ordine di N. S.re e degl'Eminen.mi e Rev.mi SS.ri Card.i di questa Suprema e Universale Inq.ne, furono dalli Qualificatori Teologi qualificate le due proposizioni della stabilità del Sole e del moto della Terra, cioè: Che il Sole sia centro del mondo e imobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofìa, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura; Che la terra non sia centro del mondo ne imobile, ma che si muova eziandio di moto diurno, è parimente proposizione assurda e falsa nella filosofia, e considerata in teologia ad minus erronea in Fide. Ma volendosi per allora procedere teco con benignità, fu decretato nella Sacra Congre.ne tenuta avanti N. S. a' 25 di Febr.o 1616, che l'Emin.mo S. Card.le Bellarmino ti ordinasse che tu dovessi omninamente lasciar detta opinione falsa, e ricusando tu di ciò fare, che dal Comissario del S. Off.o ti dovesse esser fatto precetto di lasciar la detta dotrina, e che non potessi insegnarla ad altri ne difenderla ne trattarne, al quale precetto non acquietandoti, dovessi esser carcerato; e in essecuzione dell'istesso decreto, il giorno seguente, nel palazzo e alla presenza del sodetto Eminen.mo S.r Card.le Bellarmino, dopo esser stato dall'istesso S.r Card.le benignamente avvisato e amonito, ti fu dal P. Comissario del S. Off.o di quel tempo fatto precetto, con notaro e testimoni, che omninamente dovessi lasciar la detta falsa opinione, e che nell'avvenire tu non la potessi tenere ne difendere ne insegnar in qualsivoglia modo, ne in voce ne in scritto: e avendo tu promesso d'obedire, fosti licenziato. E acciò che si togliesse affatto così perniciosa dottrina, e non andasse più oltre serpendo in grave pregiudizio della Cattolica verità, uscì decreto della Sacra Congr.ne dell'Indice col quale fumo proibiti li libri che trattano di tal dottrina, e essa dichiarata falsa e omninamente contraria alla Sacra e divina Scrittura. E essendo ultimamente comparso qua un libro, stampato in Fiorenza l'anno prossimo passato, la cui inscrizione mostrava che tu ne fosse l'autore, dicendo il titolo Dialogo di Galileo Galilei delli due Massimi Sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano; ed informata appresso la Sacra Congre.ne che con l'impressione di detto libro ogni giorno più prendeva piede e si disseminava la falsa opinione del moto della Terra e stabilità del Sole; fu il detto libro diligentemente considerato, e in esso trovata espressamente la transgressione del predetto precetto che ti fu fatto, avendo tu nel medesimo libro difesa la detta opinione già dannata e in faccia tua per tale dichiarata, avvenga che tu in detto libro con varii ragiri ti studii di persuadere che tu la lasci come indecisa e espressamente probabile, il che pur è errore gravissimo, non potendo in niun modo esser probabile un'opinione dichiarata e difìnita per contraria alla Scrittura divina. Che perciò d'ordine nostro fosti chiamato a questo S. Off.o, nel quale col tuo giuramento, essaminato, riconoscesti il libro come da tè composto e dato alle stampe. Confessasti che, diece o dodici anni sono incirca, dopo esserti fatto il precetto come sopra, cominciasti a scriver detto libro; che chiedesti la facoltà di stamparlo, senza però significare a quelli che ti diedero simile facoltà, che tu avevi precetto di non tenere, difendere ne insegnare in qualsivoglia modo tal dottrina. Confessasti parimente che la scrittura di detto libro è in più luoghi distesa in tal forma, ch'il lettore potrebbe formar concetto che gl'argomenti portati per la parte falsa fossero in tal guisa pronunziati, che più tosto per la loro efficacia fossero potenti a stringer che facili ad esser sciolti; scusandoti d'esser incorso in error tanto alieno, come dicesti, dalla tua intenzione, per aver scritto in dialogo, e per la natural compiacenza che ciascuno ha delle proprie sottigliezze e del mostrarsi più arguto del comune de gl'uomini in trovar, anco per le proposizioni false, ingegnosi e apparenti discorsi di probabilità. E essendoti stato assignato termine conveniente a far le tue difese, producesti una fede scritta di mano dell'Emin.mo S.r Card.le Bellarmino, da te procurata, come dicesti, per difenderti dalle calunnie de' tuoi nemici, da' quali ti veniva opposto che avessi abiurato e fossi stato penitenziato dal S.to Off.o, nella qual fede si dice che tu non avevi abiurato, né meno eri stato penitenziato, ma che ti era solo stata denunziata la dichiarazione fatta da N. S.e e publicata dalla Sacra Congre.ne dell'Indice, nella quale si contiene che la dottrina del moto della terra e della stabilità del sole sia contraria alle Sacre Scritture, e però non si possa difendere ne tenere; e che perciò, non si facendo menzione in detta fede delle due particole del precetto, cioè docere e quovis modo, si deve credere che nel corso di 14 o 16 anni n'avevi perso ogni memoria, e che per questa stessa cagione avevi taciuto il precetto quando chiedesti licenza di poter dare il libro alle stampe, e che tutto questo dicevi non per scusar l'errore, ma perché sia attribuito non a malizia ma a vana ambizione. Ma da detta fede, prodotta da te in tua difesa, restasti magiormente aggravato, mentre, dicendosi in essa che detta opinione è contraria alla Sacra Scrittura, hai non di meno ardito di trattarne, di difenderla e persuaderla probabile; né ti suffraga la licenza da te artefìziosamente e calidamente estorta, non avendo notificato il precetto ch'avevi. E parendo a noi che tu non avessi detto intieramente la verità circa la tua intenzione, giudicassimo esser necessario venir contro di te al rigoroso essame; nel quale, senza però pregiudizio alcuno delle cose da te confessate e contro di te dedotte come di sopra circa la detta tua intenzione, rispondesti cattolicamente. Pertanto, visti e maturamente considerati i meriti di questa tua causa, con le sedette tue confessioni e scuse e quanto di ragione si doveva vedere e considerare, siamo venuti contro di te alla infrascritta diffinitiva sentenza. Invocato dunque il S.mo nome di N. S.re Gesù Cristo e della sua gloriosissima Madre sempre Vergine Maria; per questa nostra diffinitiva sentenza, qual sedendo pro tribunali, di consiglio e parere de' RR. Maestri di Sacra Teologia e Dottori dell'una e dell'altra legge, nostri consultori, proferimo in questi scritti nella causa e cause vertenti avanti di noi tra il M.co Carlo Sinceri, dell'una e dell'altra legge Dottore, Procuratore fiscale di questo S.o Off.o, per una parte, e te Galileo Galilei antedetto, reo qua presente, inquisito, processato e confesso come sopra, dall'altra; Diciamo, pronunziamo, sentenziarne e dichiararne che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.o veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un'opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non fìnta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori e eresie, e qualunque altro errore e eresia contraria alla Cattolica e Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data. E acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, e sii più cauto nell'avvenire e essempio all'altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per publico editto sia proibito il libro de' Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitenziali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte, le sodette pene e penitenze. E così diciamo, pronunziamo, sentenziamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo e in ogni altro meglior modo e forma che di ragione potemo e dovemo”.

Si vede bene come questo documento presenti diversi problemi. In apertura si sostiene che Galileo abbia insegnato, prima del presunto precetto del 1616, la dottrina copernicana, ritenuta falsa sulla scorta del parere degli undici teologi che, come ricordiamo, l’Inquisizione aveva interpellato confidenzialmente. In realtà però sappiamo che quando Galileo aveva insegnato il copernicanesimo non c’era stata ancora nessuna condanna o censura ufficiale e che il parere degli undici teologi rimase, appunto, solo un parere, a cui non seguì alcuna decisione ufficiale della Chiesa. Nel 1616 poi Galileo non ricevette alcuna ingiunzione e non c’erano motivi per cui egli dovesse sentirsi inibito dal trattare il copernicanesimo come mera ipotesi, come consentiva a chiunque il decreto promulgato dalla Congregazione dell’Indice (che quindi non vietava in assoluto ogni discussione sul tema, come riportato erroneamente nel testo della sentenza). Il verdetto è di colpevolezza, ma mentre Galileo non è dichiarato eretico (si afferma solo che con la sua condotta si è reso sospetto di eresia), le idee della fissità e centralità del Sole e del moto della Terra sono condannate, rispettivamente, come eretica ed erronea in fide, semplicemente  perché molto materiale in possesso degli inquirenti, ambiguo e ufficioso, viene fatto passare come ufficiale e vincolante. La pena consiste nella proibizione di circolazione del Dialogo (non vengono toccate altre opere in cui Galileo professa comunque il copernicanesimo!), negli arresti domiciliari (se non altro una pena relativamente mite, soprattutto considerando l’indole casalinga di Galileo) e nella recitazione settimanale, per tre anni, dei Salmi penitenziali (incombenza che Galileo delegò, com’era nel suo diritto, alla figlia suora). Insomma, i documenti sembrano indicare, in definitiva, che Galileo è stato vittima di una congiura legata ad invidie e dissapori, che i suoi nemici sono riusciti ad influenzare il processo e che in tutta questa storia il copernicanesimo è stato solo un pretesto. Gli attacchi a Galileo si sono succeduti per anni ed anni, ma solo quando il pontefice, suo amico, si è sentito tradito, la situazione è degenerata senza freno. La condanna è stata straordinariamente mite per gli standard dell’epoca, e Galileo potrebbe dirsi perfino fortunato se il suo caso viene paragonato a quello di altri celebri scienziati condannati dalla giustizia, come il gesuita Johann Adam Schall Von Bell, che in Cina venne imprigionato e torturato per aver introdotto il telescopio (fu anche condannato a morte, ma per fortuna con un ribaltone politico riuscì a scamparla, al contrario dei suoi assistenti cinesi che furono tutti decapitati). O come il celebre chimico Antoine-Laurent de Lavoisier, condannato a morte dal Tribunale Rivoluzionario tramite ghigliottina. Tuttavia Galileo, che pure può essere rimproverato per essere stato troppo impulsivo e poco accorto, è stato vittima di malagiustizia, condannato da innocente. C’è dunque di che rammaricarsi per come andarono le cose, e tuttavia diversi miti storiografici ne escono smontati. Il processo a Galileo non fu l’esito di un conflitto tra scienza e fede, la Chiesa non era molto interessata al copernicanesimo, tantomeno preoccupata da esso, e Galileo non fu veramente in grado di dimostrare in qualche modo le sue teorie. Galileo fu vittima delle circostanze, dell'odio di colleghi invidiosi, del suo caratteraccio e del nervosismo del papa. Non è stato uno scontro tra scienza e fede e le teorie professate da Galileo non sono mai state il vero problema. Può contribuire ad avere la visione d'insieme sapere che anche le consorelle della figlia di Galileo ritenevano lo scienziato vittima di un processo politico.

Il reale impatto sulla ricerca scientifica
Dopo la condanna Galileo scrisse e pubblicò un'altra opera, “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”, ma la Chiesa non oppose alcuna resistenza alla sua circolazione (nel libro si sostiene anche la teoria atomica della materia, una delle tesi con cui anni prima si era tentato, invano, di incastrarlo). Morì nel 1642, senza aver potuto dimostrare le sue tesi. C’è chi ha lamentato una battuta d’arresto della scienza, almeno in campo astronomico, a causa del processo a Galileo, della chiusura della Chiesa e della paura che gli scienziati avevano a discutere pubblicamente di certe cose. Ma davvero il processo a Galileo ebbe conseguenze così nefaste sul progresso scientifico dei secoli successivi? Al netto di un certo timore iniziale da parte di alcuni (si sa, ad esempio, che Cartesio si fece scrupoli a pubblicare un’opera in cui si considerava il moto della Terra), non si direbbe. Tanto per cominciare la Chiesa aveva ormai un potere molto più limitato di un tempo, e in tutti i paesi d’Europa, protestanti e cattolici, vi erano scienziati che si tenevano in contatto epistolare e scambiavano idee attraverso reti di contatti che prefigurano per certi aspetti l’internet dei nostri tempi. La più importante di queste reti faceva capo al frate Marin Mersenne, teologo e matematico che praticamente ebbe contatti con tutti i più grandi scienziati dell’epoca: Cartesio, Pascal, Huygens, Gassendi, Galileo, ecc. Tutto ciò rendeva il mondo della scienza indipendente da eventuali tentativi di ingerenza della Chiesa. Ma in realtà la Chiesa nemmeno tentò nulla di simile, dopo la faccenda del processo l’ultima cosa che si voleva era continuare ad occuparsi di certe questioni. Con Galileo ancora in vita, e col Dialogo ancora messo all’Indice, nello stesso Collegio Romano erano ripresi gli studi su di lui e su Copernico, poco più tardi il gesuita Francesco Maria Grimaldi intitolò a Galileo un monte lunare. Si ha testimonianza poi del fatto che i due gesuiti Giovanni Battista Riccioli e Antonio Baldigiani non consideravano eretico l’eliocentrismo (il secondo fu anche detto “amicissimo della dottrina di Galileo”). All’inizio del nuovo secolo poi il Dialogo fu tranquillamente ripubblicato, senza autorizzazione ma anche senza ritorsioni ecclesiastiche, sebbene formalmente fosse ancora proibito. Nel 1744 il pastore anglicano James Bradley fornì la prima prova del moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole, ciò che ci voleva perché la dottrina copernicana non fosse considerata falsa e perché l’esegesi biblica potesse essere ragionevolmente rivista. Quello che precisamente osservò Bradley è l’aberrazione stellare, cioè quel fenomeno per cui la posizione di una stella in cielo sembra mutare nel tempo disegnando un’ellisse. Tale effetto ottico è dovuto al moto di rivoluzione della Terra ed è simile a quello che si sperimenta quando ci si muove sotto la pioggia: in condizione di quiete la pioggia cade evidentemente perpendicolarmente, ma quando ci si muove la sorgente della pioggia non sembra più trovarsi esattamente sopra di noi ma piuttosto un po’ più avanti. I dettagli dell’osservazione e dell’interpretazione sono molto tecnici, ad ogni modo ciò che conta è che alla Chiesa bastò: nel 1744 il Dialogo venne ufficialmente ripubblicato in Italia con correzioni marginali, e nel 1757 il Copernicanesimo venne rimosso dall'indice e tornò ad essere legale insegnarlo. Papa Benedetto XIV finanziò anche le ricerche del gesuita Ruggero Boscovich, che si rifaceva a Galileo. Nel 1758 proprio un uomo di Chiesa, l’abate Giovanni Guglielmini, effettuò il famoso esperimento della torre, in grado di mettere in luce la rotazione terrestre. Il concetto di base è che un corpo sulla sommità di un’alta torre, trascinato dal moto di rotazione terrestre, avrebbe la stessa velocità angolare di un oggetto posto a livello del suolo, trascinato anch’esso dalla rotazione terrestre, ma una velocità tangenziale maggiore, infatti entrambi gli oggetti percorrono un moto circolare nello stesso tempo, ma la circonferenza disegnata dal corpo in alto è più estesa, e quindi è evidente che il moto corrispondente avviene a maggior velocità. Stando così le cose, c’è da aspettarsi che un corpo lasciato cadere da una torre cada al suolo ad una certa distanza dalla base della torre, più ad est, anziché esattamente ai suoi piedi. Questo perché, per il principio di inerzia, il corpo lasciato cadere non cessa di avere una componente del moto concorde col verso della rotazione terrestre, e questo moto avviene, per le ragioni anzidette, a velocità maggiore di quello che interessa i corpi al suolo. Guglielmini all’inizio aveva pensato di far cadere un grave dalla cupola di San Pietro, e aveva anche ottenuto l’autorizzazione. Poi per alcuni disguidi l’esperimento finì con l’essere eseguito a Bologna: Guglielmini lasciò cadere ripetutamente delle sfere di piombo dalla Torre degli Asinelli riscontrando l’attesa deviazione verso est. Nel 1806 invece il direttore dell'Osservatorio del Collegio Romano, Giuseppe Calandrelli, riportò la prima parallasse osservata. In realtà ci furono degli errori nella sua misura (la parallasse risultava una trentina di volte più grande di quella reale), ma intanto l'argomento venne discusso anche in Vaticano. Per misure di parallasse impeccabili bisognerà aspettare Bessel nel 1838. Nel 1820 intanto venne concesso l'imprimatur a un libro di Giuseppe Settele che considerava l'eliocentrismo una realtà fisica, nonostante la ritrosia di Padre Filippo Anfossi, Commissario del Sant’Uffizio, la cui ostilità alla teoria era oramai considerata anacronistica e contrastata da tutte le altre gerarchie ecclesiastiche. L’epilogo di questa lunga storia che vede coinvolti Galileo e la Chiesa è stato raggiunto quando, il 31 ottobre 1992, papa Giovanni Paolo II chiese scusa per gli errori commessi dalla Chiesa contro Galileo.

Conclusioni
Riepiloghiamo i punti principali della narrazione più comune: il progresso scientifico è stato rallentato dalla condanna di Galileo, la quale sarebbe stata comminata dalla Chiesa perché l’eliocentrismo, solidamente dimostrato da Galileo, contraddiceva le verità di fede e le affermazioni di Aristotele, il pensatore che teneva in ostaggio la cultura accademica cattolica.
In realtà una disamina dei fatti ci ha permesso di appurare le seguenti cose:
- Aristotele, pur essendo una grandissima autorità verso cui molti, in effetti, si mostravano eccessivamente acritici e deferenti, non era in realtà argomento su cui non si potesse discutere. Di sicuro non era al centro delle preoccupazioni della Chiesa, impegnata in quel periodo in questioni molto più importanti, e nemmeno in stretta relazione con i guai patiti da Galileo.
- Dal punto di vista della fede la Chiesa non teneva una posizione ufficiale riguardo l’eliocentrismo. Tra i teologi questo raccoglieva tanto consensi quanto dissensi, ma la Chiesa ufficialmente non trovava l’ipotesi pericolosa per la dottrina e non era pregiudizialmente chiusa ad una discussione del tema. Ciò che preoccupava le gerarchie ecclesiastiche era che, in piena epoca di lotta al protestantesimo, semplici laici si arrogassero il diritto di interpretare i Testi Sacri senza la mediazione ecclesiastica. Non ha molto senso criticare gli strumenti utilizzati dalla Chiesa dell’epoca, come l’indice dei libri proibiti, visto che al tempo erano gli stessi utilizzati anche dal potere laico (che in effetti la Chiesa non aveva fatto altro che emulare con un certo ritardo), comprensibili alla luce dell’orizzonte culturale dell’epoca e delle particolari sfide poste dalle novità del periodo. Il fatto è che certi standard odierni si sono resi possibili solo per il raggiungimento di nuove possibilità tecniche e per tutta una precedente riflessione vecchia di secoli, quindi non ha senso paragonare la Chiesa dell’epoca con le moderne istituzioni, le quali tra l’altro, esse stesse, sono spesso non all’altezza degli ideali ai quali vorremmo che fossero conformate. Se proprio si volesse dare una valutazione etica dell’operato della Chiesa del tempo sarebbe più ragionevole paragonarla alle altre istituzioni ad essa coeve. Per motivi analoghi non ha senso nemmeno deprecare l’omnipervasività della Chiesa dell’epoca, la quale va presa semplicemente come un dato di fatto.
- Il processo a Galileo fu sicuramente un’ingiustizia giudiziaria, un vergognoso processo politico, ma l’eliocentrismo fu solo uno strumento nelle mani dei carnefici, e in nessun modo si può dire che il problema fossero le tesi scientifiche di Galileo. Stiamo parlando dunque di un caso di corruzione ed abuso di potere, ma certamente non di oscurantismo, né, soprattutto, di conflitto tra scienza e fede. Si deve anche ammettere, in realtà, che la Chiesa aveva difeso Galileo dai suoi nemici almeno fino a quando questi non arrivò ad inimicarsi addirittura il papa in persona.
- Galileo non aveva le prove scientifiche di ciò che andava asserendo. Di più, Galileo utilizzava stratagemmi moralmente discutibili e sicuramente contrari allo stesso metodo scientifico che aveva contribuito a promuovere, per propagandare la sua teoria nonostante l’assenza di prove. La Chiesa seppe riconoscere benissimo i limiti della sua teoria e lo invitò a limitarsi alle sole affermazioni che poteva ragionevolmente fare. Si può discutere dell’opportunità della Chiesa di entrare in tale campo, ma la sua posizione era sicuramente quella corretta, e ad ogni modo valgono le considerazioni fatte prima sui metodi della Chiesa e sull’estensione del suo potere oltre gli ambiti strettamente dottrinali, alle quali va aggiunta la constatazione del fatto che lo stesso Galileo, chiamando le Scritture a sostegno delle sue tesi scientifiche, aveva a sua volta invaso un campo che non era di sua pertinenza.
- Le ricadute di tale processo furono marginali e di breve periodo, si vede bene come la scienza abbia potuto proseguire il suo naturale corso senza ulteriori ingerenze da parte del potere religioso, il quale tra l’altro ha accettato pubblicamente ed ufficialmente la nuova visione del mondo proprio ed esattamente quando questa è stata realmente comprovata scientificamente in modo convincente.
Alla luce di questi fatti non ha alcun senso dipingere la vicenda umana di Galileo come un caso emblematico di conflitto tra fede e scienza, e gli errori che si potrebbero imputare alla Chiesa dell’epoca non riguardano i suoi rapporti con la ricerca scientifica.



Sitografia:
http://lagrandescazzottatacopernicana.blogspot.com/
Bibliografia:
“Contro il metodo”, Paul Feyerabend, Feltrinelli 2013
“La nascita della scienza moderna in Europa”, Paolo Rossi, Laterza 1997
“Storia della scienza moderna”, Maurizio Mamiani, Laterza 2002
“La visione scientifica del mondo”, Bertrand Russell, Laterza  2000
“Galileo Galilei”, a cura di Alceste Santini, L’Unità 1994
“Galileo”, a cura di Guido Parravicini, Corriere Della Sera 2016

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Commenti

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  2. Complimenti per l'articolo, davvero molto ben fatto. Vorrei sapere se conoscete fonti per approfondire l'influenza che ebbe il caso Galileo sullo sviluppo della scienza in Italia. Secondo Montanelli infatti ("L'Italia del Seicento", pag. 310) "[Galileo] A costoro lasciava una scuola e un esempio. La scuola produsse ancora dei grandi maestri: Torricelli, Redi, Morgagni, Malpighi, Cassini, Borelli, che permisero alla Scienza italiana di primeggiare ancora per un pezzo in Europa. Ma l'esempio del Maestro scoraggiò questi uomini dal tentare l'elaborazione di veri e propri sistemi e forse gl'impedì di raggiungere la statura del loro iniziatore. Nessuno voleva seguirne la sorte. E così, grazie all'Inquisizione, il pensiero scientifico trasmigrò dall'Italia, e in genere dai Paesi cattolici, per diventare appannaggio di quelli protestanti."

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    1. Grazie per i complimenti. Non sapremmo indicare un unico testo che approfondisca esattamente questo argomento, ciò che abbiamo detto nell'articolo emerge dalla somma di tutte le informazioni ricavate da libri che si ponevano obiettivi più vasti. Come abbiamo scritto, un po' di timore nell'immediato sembra esserci stato, ma non pare abbia influito significativamente sulla ricerca e il pensiero. La scienza italiana ha continuato in realtà a produrre eccellenze ininterrottamente fino a tempi recenti, quindi l'analisi di Montanelli semplicemente non combacia coi fatti. La scienza non si è trasferita altrove, piuttosto altri paesi hanno raggiunto primati in altri ambiti, e per congiunture storiche molto complesse che nulla hanno a che vedere con le vicissitudini di Galileo. Montanelli ha una prosa molto accattivante e nei suoi testi di divulgazione storica si trovano aneddoti interessanti che vale la pena conoscere, ma non di rado esagera nel romanzare e riporta dati imprecisi se non addirittura scorretti. Non era primariamente uno storico, e si vede, ma a ciò bisogna anche aggiungere che nel frattempo la ricerca storica è andata avanti, quindi i suoi libri, che già all'epoca riportavano narrazioni un po' obsolete che sopravvivevano solo al di fuori dell'accademia, oggi purtroppo hanno veramente molto poco da dire.
      Per quanto riguarda la questione del divario socio-economico tra paesi cattolici e protestanti, si potrebbe scrivere un libro. Qui possiamo solo dire che probabilmente sono in causa molti fattori che non riguardano la religione, e quando anche la religione potrebbe ragionevolmente essere chiamata in causa, la questione si presenta comunque così complessa che l'equazione "paese più avanzato = religione più civile, matura e benefica", che molti farebbero, continua a non reggere.

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    2. Vero, sono anch'io di questa idea. Tanto più che nella prefazione del volume precedente ("L'Italia della Controriforma") Montanelli afferma esplicitamente che uno degli scopi della sua opera è anche quello di sganciare il racconto della storia dal controllo ecclesiastico (e in particolare dai gesuiti), facendo il parallelo tra i suoi volumi e l'edizione del Nuovo Testamento redatta da Erasmo da Rotterdam, opera che ricevette molte critiche dagli studiosi gesuiti per diversi errori presenti, ma nondimeno ebbe un grande successo.

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    3. Già, bisognerebbe anche vedere quanto avesse senso dire che la storia era controllata dai gesuiti o dal clero in generale, forse è un problema che stava più nell'immaginazione di Montanelli che nella realtà.

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